È quanto emerge dalla sentenza n. 245/15 della Sesta Sezione Penale della Cassazione.
In seguito all’applicazione della pena su richiesta delle parti, un trentanovenne vicentino, accusato di evasione fiscale e di riciclaggio, è stato condannato dalla Corte d’appello di Venezia a una pena complessiva di 1 anno, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale.
Precisamente, la Corte territoriale ha applicato all’imputato, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi 4 di reclusione, in ordine al reato di cui all’articolo 348bis cod. pen., in aumento della pena di mesi 10 e giorni 20 di reclusione, già irrogata dal GUP per i reati fiscali.
Ebbene, la Procura della Repubblica ha interposto ricorso per cassazione denunciando l’illegalità della pena come determinata dal giudice del merito. Infatti, nell’applicare la continuazione fra il reato di riciclaggio e i reati tributari, la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto più gravi i delitti contemplati dal D.Lgs. n. 74/00.
In un caso come quello di specie, secondo gli Ermellini, “non può dubitarsi che la violazione più grave sia costituita dal reato di riciclaggio, punito con pena detentiva edittale da 4 a 12 anni, ampiamente superiore a quella prevista per il reato tributario con cui è stata riconosciuta la continuazione. La pena da cui prendere le mosse non poteva pertanto che essere quella prevista per il delitto di cui all’art. 648 bis cod. pen., su cui avrebbe dovuto essere calcolato l’aumento per il reato-satellite e cioè per il delitto tributario. Non era invece giuridicamente possibile ritenere più grave quest’ultimo e assumerne conseguentemente la pena come base del calcolo ex art 81 cpv cod. pen. […]”.
In conclusione, i giudici del Palazzaccio hanno annullato la sentenza impugnata senza rinvio; per l’effetto, è stata disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Vicenza per l’ulteriore corso.
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