È quanto emerge, in sostanza, dalla sentenza 3 febbraio 2015 n. 4919 della Corte di Cassazione – Sezione Terza Penale.
Nel caso sottoposto all’esame dei supremi giudici, un imprenditore del settore immobiliare è stato riconosciuto responsabile del reato dichiarazione infedele sulla base degli elementi raccolti dall’Amministrazione finanziaria nel corso dell’accertamento fiscale. Il giudice di merito, infatti, ha accertato il superamento della soglia monetaria fissata dall’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 attraverso le risultanze del PVC, le quali hanno “sostituto in blocco” l’istruttoria dibattimentale.
Secondo la difesa, l’accertamento della sottofatturazione è stato il frutto della mera “trasfusione” nella contestazione delle risultanze del processo verbale di constatazione redatto dalla GdF; atto, nella fattispecie, di natura induttiva che non può ritenersi sufficiente a fondare la prova della responsabilità dell’imputato in sede penale, soprattutto se, come nel caso di specie, gli elementi di prova fondanti l’accertamento non sono passati al vaglio del dibattimento.
Ebbene, ad avviso degli ermellini, non è sufficiente avvalersi dei risultati complessivi dell’accertamento per verificare il superamento della soglia di punibilità perché, se così fosse, per i reati tributari che prevedono una tale soglia, non dovrebbero mai essere adottate le modalità previste dall’art. 220 delle disp. att. durante gli accertamenti e i processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di finanza o dai funzionari degli uffici finanziari: il che non pare possa ammettersi, perché porterebbe in definitiva a un’elusione degli obblighi di legge, con lesione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo.
Inoltre, le modalità previste dall’art. 220 disp. att. debbono essere seguite quando emergono indizi di reato e non solo quando emerga la prova di un reato, il che significa che per rendere operante la norma di garanzia non occorre che sia stata già raggiunta la prova del superamento della soglia di punibilità, ma è sufficiente che vi sia una concreta probabilità che la soglia possa essere superata.
Nel caso di specie, quindi, il giudice dell’appello ha errato laddove – ignorando peraltro di esaminare l’eccezione della difesa sul punto – non ha valutato se, dopo le prime indagini (audizioni degli acquirenti degli immobili e acquisizione della documentazione riguardante le compravendite), fossero emersi indizi di reato che imponevano il ricorso alle disposizioni del codice di procedura penale.
Il giudice dell’appello ha anche errato quando ha sostenuto che il verbale di costatazione della GdF ben poteva sostituire in blocco l’istruttoria dibattimentale, atteso che le parti non avevano chiesto alcun ulteriore approfondimento sul piano delle prove.
E allora la Suprema Corte ha ritenuto non manifestamente infondato il ricorso dell’imputato. Il giudizio, però, si è estinto per prescrizione.
http://www.fiscal-focus.info/giurisprudenza/reati-fiscali-pvc-insufficiente-per-la-condanna,3,26125
wordpress theme by initheme.com