Se il titolare del conto corrente non fornisce adeguate giustificazioni rispetto ai rilievi mossi dall’Ufficio finanziario, l’accertamento di maggior reddito scaturente dalle presunzioni bancarie è del tutto legittimo.
È quanto emerge da una recente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta (sentenza n. 755/01/14, depositata il 13 ottobre).
La CTP ha respinto il ricorso prodotto da un contribuente titolare di reddito da lavoro dipendente che è stato raggiunto da un avviso di accertamento conseguente a indagini finanziarie effettuate per l’anno d’imposta 2005 sui conti correnti bancari.
Il collegio nisseno ha affermato che, negli accertamenti ex art. 32 D.P.R. n. 600/73, si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, per cui spetta a quest’ultimo dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili a operazioni imponibili.
Inoltre, qualora sussistano flussi finanziari che non trovano corrispondenza nella dichiarazione dei redditi, il recupero a tassazione non è subordinato alla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività. Infatti, in assenza di contestazioni sulla legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i dati medesimi possono essere utilizzati sia per presumere lo svolgimento da parte del contribuente di un’attività occulta (impresa, arte o professione) sia per quantificare il ricavato di tale attività; e questo principio non soffre eccezione se il reddito da assoggettare a tassazione costituisca provento di fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo.
Ne deriva che “i singoli dati ed elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività, e dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa”.
Alla luce di tale principio, la CTP di Caltanissetta ha ritenuto legittimo, nella specie, l’operato dell’Ufficio quando ha riqualificato come compensi “in nero” i versamenti in contanti effettuati dal ricorrente sul suo conto corrente bancario; detti versamenti, che non hanno trovato corrispondenza nella dichiarazione dei redditi, sono rimasti ingiustificati e, del tutto inutilmente, la difesa ha eccepito l’illegittimità dell’atto impugnato, per l’assenza di prova circa la provenienza “illecita” dei proventi, scaturenti dai versamenti effettuati in banca.
Le spese del giudizio hanno seguito la soccombenza.
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