Sempre più spesso, infatti, l’Amministrazione finanziaria spulcia i ricavi e finisce per disconoscerli rendendo, di fatto, la società non operativa.
Un “accertamento al contrario” insomma, con effetti perversi ai fini della ricostruzione del reddito della società.
Un esempio
Si pensi al caso di una società che gestisce un immobile. L’immobile viene locato a un’altra società collegata, dietro corresponsione del canone contrattualmente previsto.
Ebbene, in questo caso l’Agenzia delle Entrate potrebbe disconoscere i ricavi in capo alla società in oggetto, facendola diventare non operativa.
I motivi potrebbero essere diversi, ma in linea di massima potrebbero essere ricondotti alla volontà della società di far emergere dei ricavi al solo fine di superare il test di operatività, ponendo in essere operazioni con società collegate.
Ecco quindi che si aprono le porte per l’applicazione delle penalizzazioni previste per le società di comodo: dal reddito minimo, alla super-Ires, senza dimenticare la rideterminazione della base imponibile Irap e le preclusioni all’utilizzo del credito Iva.
Sono soprattutto le limitazioni al credito Iva quelle più insidiose, che rischiano di congelare un credito che magari è anche di un importo rilevante, e che possono portare alla perdita definiva dello stesso dopo un triennio.
Le soluzioni
Che fare nel caso in cui alla società siano disconosciuti i ricavi e la stessa venga sottoposta alle penalizzazioni previste per le società di comodo?
Sicuramente sarà necessario impugnare l’avviso di accertamento dimostrando che è infondato.
Deve infatti di essere ricordato come la disciplina sulle società di comodo non contenga alcuna specifica disposizione in merito ai rapporti con le società collegate.
In altre parole, non vi sono norme specifiche che limitano la rilevanza dei ricavi conseguiti a seguito di operazioni infragruppo.
Allo stesso modo, potrebbe facilmente essere dimostrato come la disciplina sulle società di comodo sia fondata su mere presunzioni che possono essere vinte dal contribuente ove lo stesso dimostri di svolgere concretamente attività d’impresa.
È proprio questo il “cuore” delle disposizioni previste in tema di società di comodo. Come ricorda infatti anche la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 7/E del 2013, tale disciplina è stata concepita “per contrastare le società che, indipendentemente dall’oggetto sociale adottato, gestiscono il proprio patrimonio essenzialmente nell’interesse dei soci senza esercitare un’effettiva attività d’impresa [cfr. circolare n. 5/E del 2 febbraio 2007]”.
La ratio di tale normativa risiede, quindi, nella volontà di impedire il proliferare di società costituite esclusivamente con l’intento di conseguire finalità estranee alla causa sociale, sostanzialmente prive dello scopo lucrativo.
Allo stesso modo, la disciplina in esame intende scoraggiare la permanenza in vita di società, costituite senza finalità elusive, ma prive di obiettivi imprenditoriali concreti e immediati, cioè di società che, per diverse ragioni, non svolgono alcuna effettiva attività imprenditoriale.
http://www.fiscal-focus.info/fisco/ricavi-disconosciuti-e-societa-di-comodo,3,26201
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