- la non deducibilità dei costi sostenuti con soggetti residenti o localizzati in paradisi fiscali se non si dimostrano le condizioni esimenti concesse dal legislatore;
- la separata indicazione in dichiarazione dei costi sostenuti con soggetti residenti in paradisi fiscali.
L’art. 24, par. 4, del Modello OCSE, che rappresenta il prototipo convenzionale di riferimento, prevede il c.d. principio di “non discriminazione” in materia fiscale, in base al quale “fatta salva l’applicazione delle disposizioni dell’art.9, del paragrafo 6 dell’art.11 o del paragrafo 4 dell’art.12, gli interessi, i canoni ed altre spese pagati da un’impresa di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono deducibili ai fini della determinazione degli utili imponibili di detta impresa, nelle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero pagate ad un residente del primo Stato”.
In base a tale principio, se un’impresa italiana effettua pagamenti relativi a interessi, canoni e altre spese a soggetti domiciliati fiscalmente in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata, questi devono essere considerati deducibili con gli stessi criteri di deducibilità applicabili nel caso il pagamento fosse stato corrisposto ad altra impresa residente nel territorio italiano.
La presenza di un simile principio nei Trattati contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia con Stati inclusi nel D.M. 23.01.2002, contrasterebbe con la normativa ex art. 110, co. 10 – 12bis, D.P.R. 91771986.
In tale eventualità difatti si creerebbe una violazione del principio di non discriminazione in quanto non verrebbe riconosciuta la deducibilità di un onere a un’impresa per il fatto di aver corrisposto una somma a un’impresa non residente, mentre il corrispondente onere sarebbe stato deducibile se corrisposto a un soggetto residente nello stesso Stato.
La clausola di salvaguardia – Il Commentario dell’art. 24, par. 4, del Modello OCSE indica che “[…] È tuttavia lasciata agli Stati contraenti la possibilità di modificare questa disposizione nelle convenzioni bilaterali per evitarne l’uso per finalità elusive”.
Viene in sostanza lasciata discrezionalità agli Stati contraenti, che all’atto della stipula della Convenzione potranno prevedere limitazioni del principio di non discriminazione per evitare comportamenti elusivi.
Tale consiglio si è tradotto, il più delle volte, in clausole del tipo “Tuttavia, le disposizioni dei paragrafi precedenti del presente Articolo non pregiudicano l’applicazione delle disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale” (c.d. clausola di salvaguardia).
La presenza di una simile clausola renderebbe pacifica l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 110, co. 10 – 12 bis, D.P.R. 917/1986, in quanto quest’ultima norma è chiaramente di carattere anti elusivo.
Le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con gli Stati black list
Tra le numerose Convenzioni stipulate dall’Italia ne esistono talune concluse con Paesi ricompresi nella black list.
In presenza della Convenzione stipulata con il Paese black list, è necessario verificare:
- l’esistenza della clausola di non discriminazione di cui all’articolo 24, par. 4, del Modello OCSE;
- l’esistenza di clausole restrittive come quella precedentemente riportata, ovvero: “Tuttavia, le disposizioni dei paragrafi precedenti del presente Articolo non pregiudicano l’applicazione delle disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale”.
Considerazioni – Alla luce delle considerazioni effettuare, non può essere data per scontata l’applicazione della normativa sulla deducibilità dei costi con soggetti paradisiaci in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni. Infatti, in alcune di queste Convenzioni non è presenta la clausola di salvaguardia e pertanto non risulta pienamente applicabile la normativa in questione.