Mai sottovalutare i versamenti effettuati dai soci e riportati nel bilancio della società: spesso, dietro a questa posta apparentemente innocua si nascondono movimenti che possono giustificare accertamenti fiscali nei confronti sia della società che dei suoi soci. Finanziamenti elevati, uniti a redditi dichiarati da parte dei soci particolarmente bassi possono essere infatti sinonimo di occultamento fiscale di redditi societari poi tradotti in aumento di capitale.
Allo stesso modo, eventuali versamenti nelle casse sociali di somme di denaro provenienti dai soci, senza specifica natura o motivo di tali versamenti possono essere equiparati dagli Uffici a ricavi non dichiarati.
Tuttavia, con una recente sentenza, la CTR della Lombardia ha attribuito rilievo alla sostanza più che alla forma e ha quindi riconosciuto la natura di finanziamenti ai versamenti effettuati dai soci, anche se questi ultimi erano stati erroneamente indicati in bilancio e non menzionati in nota integrativa.
La sentenza – Come chiarisce la sentenza n. 680/38/15 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, l’indicazione incompleta nelle scritture contabili non basta a qualificare le somme versate dai soci a favore della società come redditi non dichiarati: la corrispondenza tra le somme prelevate e versate dai soci e l’aumento delle rimanenze finali fa infatti desumere che si tratti di veri e propri finanziamenti.
Il Collegio di secondo grado ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, nell’ambito di una controversia originata da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società di capitali relativamente al periodo di imposta 2005. A destare l’attenzione del fisco è stato il versamento nelle casse sociali di somme di denaro provenienti dai soci per le quali non erano stati specificati natura e motivo nelle scritture contabili.
La contribuente ha sostenuto che i versamenti in questione erano dei “veri e propri finanziamenti soci”; mentre per l’Agenzia delle Entrate si era in presenza di ricavi non dichiarati da recuperare a tassazione. Ebbene, il recupero a tassazione è stato dichiarato illegittimo dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza successivamente confermata dal giudice dell’appello.
La Commissione meneghina di secondo grado ha attribuito rilievo alla sostanza più che alla forma, quindi riconosciuto la natura di finanziamenti ai versamenti effettuati dei soci. La CTR ha motivato così il rigetto dell’appello interposto dall’amministrazione: “Questo giudice, alla luce della documentazione versata in atti, della corrispondenza dei prelievi personali dei soci e dei versamenti nelle casse sociali e dalla circostanza che tali versamenti corrispondono all’aumento delle rimanenze finali di fine anno, pur essendo stati erroneamente indicati in bilancio e non data menzione in nota integrativa, possono nella sostanza considerati finanziamenti veri e propri, quindi escluderne la natura reddituale”.
L’aver prodotto l’estratto dei conti correnti bancari dei soci, dai quali emergevano i prelevamenti volti a finanziare la società, nonché la dimostrazione che i finanziamenti erano finalizzati all’acquisto di merce rimasta inveduta che è andata a confluire nelle rimanenze finali, hanno quindi giocato a vantaggio dei soci, che hanno così potuto evitare le pesanti conseguenze del recupero a tassazione delle somme.
Gli orientamenti contrari – Purtroppo, però, la giurisprudenza non è sempre intervenuta a favore del contribuente.
Al contrario, la Cassazione, con la sentenza n. 24531 del 26 novembre 2007 ha confermato l’accertamento induttivo nei confronti dei soci che, pur dichiarando redditi esigui, avevano conferito ingenti somme nella loro società.
In questo specifico caso, infatti, “l’aumento di capitale della societa’ costituita a base familiare da soci, che risultano fiscalmente nullatenenti, ha generato nell’Ufficio la presunzione che, in effetti, l’aumento di capitale nascondesse l’occultamento fiscale di redditi societari poi tradotti in aumento di capitale”.
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