Con la sentenza 18/01/2012 n. 631 della V Sezione civile, la Cassazione ha sancito illegittimità dell’accesso presso l’abitazione dell’amministratore della società sottoposta a verifica, qualora non sussistano (ovvero non possano essere accertati dal giudice tributario) i gravi indizi di evasione fiscale.
Il caso. La Guardia di Finanza raccoglieva documentazione extra-contabile, contenente elementi indiziari legittimanti avvisi di accertamento di ulteriore base imponibile (ai fini Irpef, Iva e Ilor), nel corso di un accesso domiciliare presso l’abitazione dell’amministratore della società sottoposta a verifica. Gli avvisi di accertamento venivano impugnati dalla società innanzi alla competente CTP, la quale li rigettava con un’unica sentenza, dopo averli riuniti.
Il ricorso del contribuente in appello si fonda principalmente su due motivi:
– l’inesistenza dei gravi indizi richiesti dal 2° comma dell’art. 52 D.P.R. 633/1972, ai fini dell’autorizzazione all’accesso;
– illiceità dell’accesso domiciliare per la parte in cui si era svolto in altri locali del medesimo fabbricato, diversi dall’abitazione dell’amministratore e concessi in comodato a un terzo.
La tesi della CTR. Il ricorso viene accolto dalla CTR che dichiara, di conseguenza, l’insussistenza della pretesa tributaria, sulla base del seguente motivo: la previa autorizzazione del Procuratore – condizionata all’esistenza dei gravi indizi di violazioni tributarie – è soggetta a sindacato del giudice tributario in ordine all’effettiva esistenza dei gravi indizi; ora, la copia della nota della GDF con la quale era stata richiesta l’autorizzazione all’A.G. non risultava agli atti del processo (evidentemente era stata prodotta la sola autorizzazione che conteneva un rinvio per relationem alla richiesta della GDF per quanto concerne i gravi indizi di evasione); di conseguenza il Giudice tributario non poteva stabilire se gli asseriti indizi sussistessero effettivamente (in sostanza per la Commissione regionale l’autorizzazione è viziata da carenza di motivazione). Pertanto dichiara inutilizzabile tutta la documentazione reperita in tale accesso, in quanto di valenza determinante ai fini della fondatezza della pretesa impositiva.
Osserva, ad abbundantiam, il Giudice dell’appello che l’accesso doveva comunque ritenersi illegittimo poiché aveva interessato anche locali per i quali non esisteva l’autorizzazione, ovvero quelli concessi in comodato a un terzo, estraneo sia alla società sottoposta a verifica sia all’amministratore di questa. L’Amministrazione Finanziaria impugna la pronuncia in Cassazione.
La tesi della Cassazione. La Suprema Corte rigetta il ricorso dell’Ufficio finanziario, portando il proprio ragionamento sul vero tema della decisione: il sindacato del giudice tributario sugli atti del procedimento tributario.
Per questo richiama tre sentenze delle Sezioni unite (sentenze 13/07/2005 n. 14692, 16/03/2009 n. 6315, 07/05/2010 n. 11082) che affermano il seguente principio: la sindacabilità degli atti indicati nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, anche per difetto o vizi di legittimità degli atti prodromici e strumentali del procedimento ovvero degli atti c.d. presupposti che realizzino un collegamento funzionale con l’atto impugnabile avanti al Giudice tributario (ad es: gli atti autorizzativi al compimento delle operazioni di verifica e l’atto di accertamento finale) giustifica l’attrazione alla giurisdizione tributaria anche della verifica dell’invalidità del provvedimento autorizzativo all’accesso nei luoghi di pertinenza del contribuente emesso dal PM ai sensi dell’art. 52, commi 1 e 2 D.P.R. 633/72.
Riproponendo, quindi, la motivazione riportata in una delle sentenze delle SS.UU., afferma che il giudizio negativo sulla legittimità o regolarità di un atto istruttorio prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto finale impugnato, risultando conseguentemente incompatibile con il riconoscimento dell’esclusività della giurisdizione in materia tributaria la devoluzione di tali atti istruttori alla cognizione del Giudice amministrativo.
Conclude quindi la Corte affermando che il difetto della possibilità di riscontro dell’esistenza dei presupposti di legittimità del provvedimento autorizzativo si traduce in un difetto di motivazione del provvedimento impositivo.
Ad analoghe conclusioni la Corte perviene nell’ordinanza 17 dicembre 2013, n. 28188, ove, rigettando le doglianze dell’Agenzia delle Entrate, sostiene che, se nel giudizio non viene prodotta la richiesta per ottenere dalla Procura della Repubblica l’autorizzazione all’accesso domiciliare, l’accertamento è nullo perché il giudice tributario è nell’impossibilità di verificare la sussistenza dei gravi indizi di violazioni alla normativa tributaria, necessari per il rilascio di tale provvedimento.
Redazione Fiscal Focus
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