In tale circostanza, la Corte di legittimità ha affermato che il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ha il potere-dovere – oltreché di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione circa il concorso di gravi indizi di evasione fiscale – anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, dovendo pertanto negare, nell’esercizio di tale compito, la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime.
Il caso. La Guardia di Finanza, in concomitanza con l’apertura di una verifica nei confronti di una società, eseguiva un accesso domiciliare nel cui contesto raccoglieva documentazione extra-contabile, contenente elementi indiziari legittimanti l’accertamento di ulteriore base imponibile.
I conseguenti avvisi di accertamento per Irpeg e Iva, relativi agli anni 1996 e 1997, vengono impugnati dalla società innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, la quale li rigetta.
La CTR adita dal contribuente, previa riunione, accoglie, di contro, gli appelli proposti dal contribuente, rilevando che “nel decreto di autorizzazione all’accesso domiciliare non erano stati indicati, nemmeno in maniera indiretta e sintetica, i gravi indizi di violazioni di norme fiscali richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1977, art. 52, che la suddetta autorizzazione era stata concessa nei confronti della persona giuridica (mentre il provvedimento aveva riguardato una persona fisica) ed in essa era stato omesso sia il nome del destinatario che il luogo dell’accesso”.
I motivi dell’Amministrazione Finanziaria. Il Ministero impugna la sentenza d’appello in relazione, tra l’altro, ai seguenti motivi:
– la valutazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi è rimessa al giudice penale inquirente e deve ritenersi esclusa dal sindacato del giudice tributario;
– anche ritenendo la natura amministrativa dell’atto di autorizzazione, dovrebbe escludersi la cognizione del giudice tributario per mancata previsione di tale atto tra quelli impugnabili;
– la motivazione riguardo i gravi indizi può esprimersi anche in modo indiretto tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente;
– l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta l’inutilizzabilità degli stessi in mancanza di espressa previsione in tal senso.
La tesi della Cassazione. La Suprema Corte ritiene infondate le censure del Ministero. Richiama anzitutto il principio consolidato della Corte, secondo il quale l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo e ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla Guardia di Finanza) siano consistenti e idonei a i integrare gravi indizi; da tale natura e funzione dell’autorizzazione discende – anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio – che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare sia l’esistenza del decreto del pubblico ministero sia la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente (vengono in tal senso richiamate le sentenze della medesima Corte SS.UU. n. 16424 del 2002 e V Sez. n. 6836 del 2009).
Ma la Cassazione dice di più: in ordine all’affermazione della ricorrente secondo la quale l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta l’inutilizzabilità degli stessi in mancanza di espressa previsione in tal senso, la Corte rileva che, secondo la citata giurisprudenza, il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti e altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ha il potere-dovere – oltreché di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o “per relationem” – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale – anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento a elementi cui l’ordinamento attribuisce valenza indiziaria, pertanto nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando di conseguenza il fondamento della pretesa fiscale senza tener conto di quelle prove (si veda in merito la già citata SS.UU. n. 16424 del 2002 e Cass. n. 15209 del 2001).
Conformemente a tale ultimo principio la Suprema Corte si è pronunciata con le seguenti sentenze: Cassazione Civile – SS.UU. n. 8062 del 08/08/1990 e Cassazione Civile – Sez. V n. 19689 del 01/10/2004, nelle quali viene tra l’altro ribadito che:
• la segnalazione anonima non integra la sussistenza del grave indizio di violazione alle norme tributarie;
• la notizia (verbale o scritta) di fonte non individuata e non individuabile non può assurgere a dignità d’indizio l’accesso all’abitazione non può essere il primo atto ispettivo dopo una denuncia anonima, occorrendo un minimo d’indagine e di riscontro, per acquisire la cognizione di fatti, sia pure dotati di semplice valore indiziario.
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