È quanto emerge dalla sentenza 7 novembre 2014 n. 46137 della Corte di Cassazione – Sezione Quinta Penale.
Gli Ermellini hanno respinto il ricorso di un soggetto indagato per fatti di bancarotta fraudolenta, che ha sostenuto che l’adozione della misura cautelare del sequestro conservativo di alcuni fabbricati sarebbe stata legittima, soltanto ove preceduta dall’accertamento giudiziale della nullità dell’atto costitutivo del trust.
Ebbene, la tesi dell’indagato non ha trovato terreno fertile presso le aule del Palazzaccio. Infatti i supremi giudici hanno ritenuto legittimo il sequestro perché dalle indagini sono emersi elementi sufficienti a far ritenere che l’operazione sia stata posta in essere come mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, “con evidente finalità elusiva delle ragioni dei creditorie di terzi, comprese quelle erariali”.
Secondo la Quinta Sezione Penale, la piena legittimità del provvedimento cautelare, diretto su beni interessati da un fittizio diaframma, emerge in maniera incontestabile alla luce del consolidato orientamento interpretativo (sez. 5, n. 13276/2011) secondo cui “il trust, tipico istituto di diritto inglese, si sostanzia nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale ‘proprietario’ (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente.
Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli sulla base delle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio”.
La descritta situazione di “mera apparenza” – che sul versante civilistico sarebbe causa di radicale nullità – ad avviso della S.C. è stata correttamente valutata dal giudice della cautela, che quindi ha ritenuto che, al di là delle forme, l’indagato, trustee (cioè amministratore), “continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità (oltre ad essere, insieme alla madre e ai familiari, beneficiario)”.
Al ricorrente non resta che pagare le spese del giudizio.
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