In alcuni (e isolati) casi, il trasferimento della residenza all’estero rappresenta una facile scorciatoia per sottrarre i propri redditi al gravoso fisco italiano. Tale fattispecie costituisce una delle principali tipologie di evasione fiscale internazionale, così come sottolineato dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 25/E/2013.
Tralasciando l’analisi del trasferimento fittizio all’estero per mere ragioni fiscali, in tale sede si vogliono evidenziare le criticità fiscali che spesso riscontrano le persone fisiche che effettivamente si trasferiscono all’estero in cerca di fortuna o semplicemente di qualche opportunità lavorativa.
Generalmente, le persone fisiche che trasferiscono la residenza all’estero credono di interrompere i rapporti con il fisco italiano per i redditi prodotti nel Paese estero. Ma non è sempre così.
In tali situazioni bisogna attentamente valutare la propria residenza fiscale, che determina diversi obblighi impositivi e dichiarativi a seconda che l’interessato, successivamente al proprio effettivo trasferimento, si qualifichi come fiscalmente residente in Italia o, invece, come soggetto non residente in Italia.
Più in dettaglio:
• i soggetti residenti sono tassati sui redditi ovunque prodotti (anche dunque quelli prodotti all’estero);
• i soggetti non residenti in Italia sono tassati esclusivamente sui redditi prodotti in Italia.
Ne deriva che solo qualora il soggetto si qualifichi come soggetto non residente in Italia ai fini fiscali, non dovrà tassare e dichiarare in Italia i redditi prodotti all’estero. Inoltre, si ricorda che solo i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti al pagamento dell’IVIE (imposta sul valore degli immobili esteri) e agli obblighi relativi al monitoraggio fiscale (quadro RW).
Per tali questioni, è importante dedicare attenzione alla definizione puntuale della residenza fiscale.
Nel nostro ordinamento la residenza delle persone fisiche è puntualmente disciplinata dall’art. 2 del Tuir.
In base a tale norma, la “qualifica” di soggetto fiscalmente residente in Italia avviene quando lo stesso, per la maggior parte del periodo di imposta, è in possesso di uno dei seguenti requisiti:
• iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente;
• domicilio nel territorio dello Stato;
• residenza nel territorio dello Stato.
In primo luogo è necessario evidenziare che il trasferimento all’estero, senza iscrizione all’AIRE (e relativa cancellazione dalle liste anagrafiche della popolazione residente), è condizione sufficiente per determinare la residenza fiscale in Italia.
Di contro, la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente non è condizione sufficiente per perdere lo status di ‘residente’ sotto il profilo fiscale.
Infatti, potrebbe accadere che nonostante l’iscrizione all’AIRE, sia rinvenibile in Italia il centro dei propri affari e interessi (domicilio). Il domicilio consiste in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi.
Il caso più spinoso è certamente quello del padre di famiglia che si trasferisce all’estero per ragioni lavorative, ma la famiglia rimane in Italia, magari per permettere ai figli di completare gli studi o perché la moglie non vuole trasferirsi. In tali casi, infatti, tendono a prevalere i rapporti familiari rispetto ai rapporti patrimoniali ed economici.
Se, come nel caso proposto, il soggetto pur lavorando all’estero mantiene la propria residenza fiscale in Italia, e nel Paese estero lo stesso soggetto viene comunque qualificato come soggetto residente, si dovrà far riferimento ai criteri previsti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni per stabilire in maniera univoca la residenza fiscale del soggetto, conseguentemente la necessità o meno di tassare in Italia i redditi prodotti all’estero.
wordpress theme by initheme.com