Nessuno, peraltro, si aspettava che a seguito delle novità semplificatorie introdotte dalla legge e della necessaria revisione delle procedure operative, fosse disposto anche un prolungamento dei termini di presentazione della comunicazione, proroga, invece, accordata con il comunicato stampa del 19 gennaio diffuso sul sito istituzionale dell’Agenzia, unitamente ad una bozza di nuovo provvedimento che ha annunciato che la scadenza slitterà in avanti dal 28 febbraio (per 60 giorni dall’ufficialità della proroga).
Quanto accaduto ha suscitato unanimi consensi in ogni ambito, sia professionale che pubblicistico, come è giusto che sia quando si valorizza lo Statuto del contribuente e si prorogano i termini di una remissione in bonis per sanare errori e tardività dettate da difficoltà operative. Tuttavia, è bene ricordarlo, quanto concesso altro non è che un diritto del contribuente disposto dallo Statuto del contribuente (art. 3, comma 2, legge n. 212/2000).
Poiché, invece, da tempo si è ormai assuefatti e rassegnati a subire qualsiasi aggravio operativo, c’è pure chi riesce ad esultare quando viene riconosciuto un diritto statutario disapplicato da circa tre lustri, ma si faticherà a mandare completamente nell’oblio tutti i costi che questa complessa vicenda ha scaricato sulla operatività professionale. Anche perché (e ora sembra certo), prorogandosi ulteriormente la data di acquisizione corretta di quei dati si ha la definitiva conferma che non c’era nessuna necessità di pretenderli con la fretta che ha generato tutte quelle disfunzioni che il legislatore e l’Agenzia delle Entrate cercano ora di sanare. E sarebbe davvero curioso conoscere quanti controlli siano stati attivati ad oggi a seguito di tutti gli invii spesometrici pretesi nel 2017.
In ogni caso, la valorizzazione dello Statuto rimane apprezzabile, ma sembra quantomeno eccessivo l’entusiasmo del paziente per un medico che ha solo doverosamente risolto la patologia che aveva generato. Anche se questo spiraglio di luce, chiedendo perdono ad Hegel, consente almeno di poter apprezzare che in questa notte fiscale non tutte le vacche sono nere e che la filosofia gestionale del nuovo corso “ruffiniano” dell’Agenzia delle Entrate ha dato i primi concreti segnali di coerenza con quanto dichiarato all’atto dell’insediamento del rinnovato vertice, quando venne affermato che una più avanzata stagione della tax compliance sarebbe stata possibile e comunque da ricercare.
A questo punto, allora, proviamo anche a segnalare che, tra gli effetti collaterali prodotti dal bailamme degli ultimi mesi, ci sono alcuni (per fortuna pochi) sventurati che attenderebbero un’apertura ufficiale per un conforto operativo che risolva alla radice ogni possibile incomprensione con gli uffici periferici del Fisco.
Infatti, durante la caotica fase delle incertezze e delle polemiche – che poi hanno portato la scadenza dall’ordinario termine del 16.9.2017 al 16.10.2017 (DPCM 5.10.2017 in G.U. 6.11.2017 n. 259), nonché fino alla definitiva conversione in legge del D.L. n. 148/2017, che ha stabilizzato nell’ordinamento la disapplicazione delle sanzioni per irregolarità negli invii (L. n. 172/2017, in G.U. 5.12.2017 n. 284, in vigore dal 6 dicembre 2017) – è accaduto che qualche ansioso contribuente, nell’incertezza su una possibile disapplicazione sanzionatoria, abbia provveduto affrettatamente a perfezionare un ravvedimento operoso per errori nella compilazione dello spesometro. Questo anche perché l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 104/E del 28 luglio 2017, aveva al tempo già affermato che la disciplina sanzionatoria contenuta nell’articolo 11, comma 2-bis del Dlgs 471/1997 ha natura amministrativo-tributaria e, quindi, aveva indicato la strada del ravvedimento operoso, ex articolo 13 del Dlgs. 472/1997, per risolvere anticipatamente irregolarità od inesattezze nell’invio.
Ora, aldilà della circostanza che, nelle more delle proroghe annunciate e poi disposte da DPCM, Provvedimenti dell’Agenzia e dell’entrata in vigore del DL 148/2017, il contribuente non avrebbe avuto alcuna necessità di ravvedersi, si ritiene che altre due righe dell’Agenzia delle Entrate anche su tale questione avrebbero il pregio di chiarire immediatamente ai suoi uffici che un eventuale ravvedimento operoso prodotto in questa vicenda prevede una pacifica ripetibilità (o variazione di codice tributo per utilizzi diversi) degli importi versati, diversamente quindi da quanto accade, come insegna anche la Cassazione, quando si perfeziona una qualsivoglia definizione agevolata che non consentirebbe la rimborsabilità delle sanzioni. In questo caso, infatti, il contribuente avrebbe erroneamente definito un (non) inadempimento e, comunque, un errore non sanzionabile.
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