È quanto emerge dalla sentenza n. 40198/14, depositata ieri presso la Terza Sezione Penale della Cassazione.
La Corte d’appello di Milano ha riconosciuto un imprenditore responsabile del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, “limitatamente al fatto riguardante le schede di carburante”.
Nell’impugnare tale verdetto, l’imputato ha sostenuto – con successo – che il reato in contestazione (previsto e punito dell’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000) non si configura in mancanza della prova delle fatture e della loro conservazione nei registri contabili, potendosi al più concretizzare l’ipotesi delittuosa di dichiarazione infedele (ex art. 4 del D.Lgs. 74/2000), ma solo ove risulti il superamento della soglia di punibilità.
Ebbene, con riguardo a tale doglianza, i giudici del Palazzaccio hanno osservato che, per esplicita previsione dell’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 74/2000, “il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti quando tali fatture sono registrate nelle scritture contabili o sono detenute a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.
Dunque, per l’integrazione del reato, è necessario, da un lato, che la dichiarazione fiscale contenga effettivamente l’indicazione di elementi passivi fittizi, dall’altro, che le fatture ideologicamente false, che dovrebbero supportare detta indicazione, siano conservate nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda, perché in ciò consiste l’atteggiamento di avvalersi delle fatture come richiesto dalla norma.
Nel caso di specie è stata la stessa Corte territoriale ad affermare – si legge in sentenza – “l’inesistenza delle schede carburante (queste, infatti, non sono state reperite presso il contribuente, n.d.r.), cioè di quei documenti contabili indicati nel capo di imputazione; è quindi palese l’errore di diritto nel ritenere la sussistenza del reato in mancanza di uno degli elementi costitutivi (conservazione delle fatture o degli altri documenti nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda)”.
La parola è pertanto tornata al giudice di merito per nuovo esame.
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