Nonostante il divieto di prova testimoniale nel processo tributario, le dichiarazioni raccolte dalla Guardia di finanza fuori dal locale notturno possono essere un dato rilevante per confermare le sanzioni a carico dell’imprenditore che non rilascia le ricevute fiscali.
È quanto ha avuto modo di chiarire la Sezione Tributaria della Cassazione con la sentenza n. 13161/14, pubblicata lo scorso 11 giugno.
La vicenda. Gli Ermellini hanno ritenuto effettivamente viziato il verdetto della CTR Lazio con riguardo al provvedimento sanzionatorio per l’omesso rilascio di ricevute fiscali emesso a carico del gestore di un locale notturno.
In particolare la decisione del giudice dell’appello è stata censurata nella parte in cui non ha attribuito il giusto rilievo probatorio alle dichiarazioni rese ai verbalizzanti da ben 74 partecipanti a un veglione di capodanno organizzato nel club gestito dal contribuente; partecipanti che avevano tutti confermato la circostanza del mancato rilascio delle ricevute in questione.
I rilievi della S.C. Ebbene, i giudici del Palazzaccio ricordano che, nel processo tributario, le dichiarazioni dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell’avviso di accertamento, hanno il valore indiziario d’informazioni acquisite nell’ambito d’indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento.
Ciò chiarito, gli Ermellini rilevano come la CTR capitolina non abbia fatto buongoverno di questo principio, “non avendo dato alcuna logica spiegazione sia del fatto che ben settantaquattro clienti hanno dichiarato (a breve distanza di tempo dai fatti) di non aver ottenuto la ricevuta fiscale, sia del perché tali propalazioni sarebbero smentite da ignote risultanze della contabilità e/o da imprecisate ricevute di gruppo che solo altri tre clienti hanno riferito di aver ottenuto”.
Non solo, nelle motivazioni della sentenza gravata si parla “di errori di calcolo commessi nella ricostruzione del ricavato”, senza però indicare in cosa essi siano consistiti e come procedere al loro esatto computo; inoltre la CTR parla “di sconti praticati per la presenza di bambini”, rilievo anch’esso rimasto allo stadio “di mera enunciazione verbalistica – scrivono gli Ermellini –, priva di qualsivoglia riscontro logico e/o circostanziale”.
Dunque, ad avviso della Suprema Corte, i giudici tributari di secondo grado hanno commesso duplice errore: il primo di natura giuridica, avendo escluso aprioristicamente il ruolo probatorio delle numerosissime e concordanti dichiarazioni indiziarie rese dai clienti, il secondo di tipo logico, laddove sono stati valorizzati dati generici e indimostrati (errori di calcolo, sconti, ricevute di gruppo) o giuridicamente irrilevanti (regolarità contabile).
Ne è derivato l’accoglimento del ricorso del Fisco, con rinvio della causa per nuovo giudizio.
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