È quanto ha chiarito la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – che con la sentenza 10 ottobre 2014 n. 21442 ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, dando così definitivamente ragione al contribuente.
La doglianza del Fisco. Nell’impugnare la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, in quanto favorevole al contribuente (un uomo raggiunto da un avviso di accertamento sintetico per IRPEF e ILOR relative all’anno 1996), l’Agenzia delle Entrate ha denunciato, per quanto qui interessa, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1415 e seguenti del Codice civile chiedendo “se il contribuente possa far valere la simulazioni degli atti da lui stipulati al fine di contestare la fondatezza della pretesa creditoria esercitata dall’Ufficio finanziario, che abbia fatto legittimo affidamento sulla realtà apparente posta in essere dallo stesso contribuente attraverso gli atti che egli assume simulati”.
Ebbene, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha ritenuto la doglianza dell’Amministrazione infondata.
Dal Palazzaccio ricordano che l’articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 – che disciplina, fra l’altro, il metodo di accertamento sintetico del reddito – prevede, da un lato, la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi e alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro, contempla le spese per incrementi patrimoniali, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati a incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente.
Resta salva, in ogni caso, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, costituito da coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori) o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
Tra le prove contrarie è ammessa anche quella – si legge in sentenza – “che il versamento degli importi contestati non è avvenuto e quindi non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata”. Ragion per cui i supremi giudici hanno ritenuto corretta la decisione impugnata, perché la CTR partenopea ha ritenuto che il contribuente abbia dimostrato, in merito alle varie operazioni finanziarie contestategli (in particolare, versamenti effettuati per aumento di capitale di società partecipate), l’inesistenza di tali spese, trattandosi di fattispecie “artatamente configurate al solo fine di accedere a contribuzioni erariali” e che “gli aumenti di capitale erano privi di reale consistenza e di apprezzabili elementi reddituali con dichiarati”.
All’Ufficio finanziario non resta che pagare le spese processuali, che i giudici di vertice hanno liquidato in settemila euro, oltre spese forfettarie.
wordpress theme by initheme.com