D.M. 24.12.2012 – Il Decreto ministeriale del 24 dicembre 2012 ha previsto che nella determinazione del reddito presunto ai fini del redditometro è necessario tenere conto “della quota relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente imputabile al periodo d’imposta” considerando gli incrementi patrimoniali dell’anno, al netto dei disinvestimenti dell’anno e dei disinvestimenti “netti” dei quattro anni precedenti. Sugli incrementi patrimoniali il provvedimento è, quindi, penalizzante, in quanto li valorizza per intero (al netto dei disinvestimenti). In questo modo l’acquisto di una casa (o anche di un’automobile) fa lievitare la capacità contributiva tutta di un colpo e non viene più spalmato, come accadeva in passato, su cinque anni.
Assenze di tutele – In assenza di una disposizione “di tutela”, l’Agenzia delle Entrate è quindi libera di imputare l’impiego di denaro interamente nel periodo d’imposta nel quale la spesa è stata sostenuta: una circostanza del tutto “irragionevole”.
Indiscrezioni – La disposizione contenuta nel D.M. 24 dicembre 2012 ha generato una serie di critiche e polemiche tali per cui, subito dopo l’emanazione del D.M. in questione, era circolata tra gli addetti ai lavori l’indiscrezione secondo cui gli incrementi patrimoniali fossero destinati a pesare meno: almeno sul singolo anno di imposta. Sembrava infatti in arrivo un’indicazione dell’Amministrazione Finanziaria per cui gli investimenti non andassero imputati solamente nell’anno in cui sono stati sostenuti, ma in più anni, probabilmente in quattro come era previsto nella versione precedente del redditometro.
Circolare 24/E/2013 – Nella circolare n. 24 del 31.07.2013 l’Agenzia delle Entrate non aveva, però, fornito alcuna novità, ma si limitava a riportare il dato normativo. Al paragrafo 3.6.7 l’Agenzia delle Entrate affermava infatti che “la misura relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente imputabile al periodo d’imposta è determinata, come previsto dalla Tabella A, dall’ammontare degli investimenti effettuati nell’anno, meno l’ammontare dei disinvestimenti effettuati nell’anno e di quelli netti dei quattro anni precedenti all’acquisto dei beni, come da risultanze dell’Anagrafe Tributaria”. Nessuna spalmatura dunque per gli investimenti, ma al contrario veniva confermato che tali spese dovevano essere considerate sostenute con il reddito dell’anno (al netto dei soli disinvestimenti dello stesso anno e di quelli netti dei quattro anni precedenti).
Nuova apertura – Ora, nel corso di un convegno promosso dall’Agenzia della Lombardia lo scorso 22 settembre, i tecnici delle Entrate hanno aperto alla possibilità che gli incrementi patrimoniali possano essere destinati a pesare meno: almeno sul singolo anno di imposta. Infatti, nella fase selettiva, in via prudenziale, l’Agenzia dovrebbe aver optato per una valorizzazione dell’incremento patrimoniale, in ragione della normale propensione al risparmio, che considera la provvista formatasi nel quinquennio. In questo modo la quota riferita all’anno, che concorre alla determinazione del “valore di selezione”, è pari a un quinto dell’incremento netto riscontrato.
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