È quanto emerge dalla sentenza n. 10194/15, pubblicata ieri dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte.
Ricorre per cassazione un soggetto che non ha ottenuto dal Tribunale del riesame l’annullamento dell’ordinanza con cui il Gip ha disposto, tra l’altro, il sequestro preventivo dell’immobile di proprietà della moglie, nonostante questa fosse persona estranea al reato fiscale ipotizzato in sede d’indagine. I giudici della Terza Sezione Penale hanno accolto il ricorso, ritenendo che il Tribunale non abbia fatto buongoverno della giurisprudenza prevalente in materia di beni intestati a terzi estranei al reato, ma che sono nella disponibilità dell’indagato per evasione fiscale (vedi, da ultimo, Cass., Sez. III, 15210/2012, n. 15995/2013, n. 18307/2014, ndr.).
Per “disponibilità”, secondo la Corte, deve intendersi la relazione effettuale del condannato con il bene, caratterizzata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà. La disponibilità coincide, pertanto, con la signoria di fatto sulla “res” indipendentemente dalle categorie delineate dal diritto privato, riguardo al quale il richiamo più appropriato sembra essere quello riferito al possesso come definito nell’art. 1140 c.c. Non è necessario, quindi, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi, quindi la disponibilità degli stessi. Ovviamente tale potere di fatto può essere esercitato direttamente o mediante altri soggetti, che a loro volta possono detenere la cosa nel proprio interesse (detenzione qualificata) o nell’interesse altrui (detenzione non qualificata). Sicché la nozione di disponibilità non può essere limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma va estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri. Viene, cioè, in rilievo e legittima il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente l’interposizione fittizia, vale a dire quella situazione in cui il bene, pur formalmente intestato a terzi, sia nella disponibilità effettiva dell’indagato o condannato.
È sempre necessaria la dimostrazione da parte del P.M. della “disponibilità” (secondo la nozione sopra delineata) del bene da parte dell’indagato e la non corrispondenza tra tale situazione e l’intestazione formale (Cass. n. 17287/2011).
Ebbene, come anticipato, di tali principi il Tribunale non ha fatto corretta applicazione, essendosi “limitato ad asserire come la disponibilità del bene in capo all’indagato derivi dal rapporto di coniugio e dal fatto che l’immobile oggetto del provvedimento ablativo altro non è che la pertinenza della casa di abitazione dell’indagato”. Per la Terza Sezione del Palazzaccio si tratta di una motivazione che “non soddisfa i requisiti richiesti dalla norma e dalla giurisprudenza della Corte Suprema che esige, invece, una specifica e puntuale motivazione per superare la presunzione di appartenenza esclusiva del bene anche sotto il profilo della signoria di fatto, ad un soggetto terzo estraneo al reato”.
Di certo per gli ermellini si deve escludere che la mera circostanza del rapporto di coniugio possa estendere la nozione di disponibilità a quello tra i coniugi non titolare del bene, soprattutto laddove il bene sia caduto in successione oppure, come nel caso, sia frutto di una pregressa donazione che ha determinato l’ingresso di quel bene unicamente nel patrimonio del donatario.
Di ciò dovrà tenere conto il Giudice del rinvio.
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