Ai sensi dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600/73, i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo D.P.R., salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine. La norma prevede altresì che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (sono quindi assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili. La presunzione disciplinata dalla seconda parte dell’articolo 32 nella sua originaria formulazione (limitata ai “ricavi”) interessava unicamente gli imprenditori; la Legge n. 311 del 2004 (inserendo anche i “compensi”) ne ha poi esteso l’ambito operativo ai lavoratori autonomi. Ebbene, la sentenza 228/14 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600/73, limitatamente alle parole “o compensi”, così ritenendo fondata nel merito la questione sollevata dalla CTR Lazio con l’ordinanza n. 27/29/2013.
“Anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario – si legge in sentenza -, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo. Secondo tale doppia correlazione, in assenza di giustificazione deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati. Il fondamento economico-contabile di tale meccanismo è stato ritenuto da questa Corte (sentenza n. 225 del 2005) congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, il quale è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi. L’attività svolta dai lavoratori autonomi, al contrario, si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Si aggiunga che la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali. Peraltro, l’esigenza di combattere un’evasione fiscale ritenuta rilevante nel settore trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari […]. La tracciabilità del danaro, oltre ad essere uno strumento di lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si possono prestare ad operazioni in nero”.
In definitiva, secondo la Consulta, la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), nonché della capacità contributiva (art. 53 Cost.), “essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
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