È quanto ha avuto modo di ricordare la Suprema Corte con la sentenza n. 11488/15, pubblicata ieri.
La pronuncia è intervenuta nell’ambito di un’indagine relativa alla presunta costituzione di provviste finanziarie a favore di un politico attraverso operazioni di sovrafatturazione negli appalti.
La Terza Sezione Penale del Palazzaccio ha confermato il sequestro probatorio disposto nei confronti dell’indagato ritenendo del tutto lecito l’operato della polizia giudiziaria.
Nella specie, infatti, il decreto di perquisizione e sequestro non è stato utilizzato come mezzo di acquisizione di una notitia criminis, anziché come mezzo di ricerca della prova, in quanto la notizia di reato era stata ampiamente acquisita sulla base di dichiarazione di terzi e degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza e, solo a seguito dell’acquisizione della notitia criminis, è stato emesso dal P.M. il decreto di perquisizione, con conseguente sequestro probatorio della documentazione in esso specificamente indicata.
Il Tribunale cautelare, pertanto, bene ha fatto a confermare la misura; la decisione è apparsa perfettamente in linea con il principio di diritto più volte affermato dalla Suprema Corte secondo cui, al fine di evitare che i provvedimenti di perquisizione e sequestro si trasformino in strumenti di ricerca della notitia criminis, è necessario che essi individuino, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, onde consentire che la perquisizione e il conseguente sequestro siano eseguiti non sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto e permettere, inoltre, la verifica, in caso di “cose pertinenti al reato”, della sussistenza delle esigenze probatorie, ovvero, qualora tali esigenze siano in re ipsa, dell’effettiva possibilità di qualificazione di “corpo del reato” delle cose apprese, attraverso l’accertamento dell’immediatezza descritta dal secondo comma dell’articolo 253 cod. proc. pen. tra esse e l’illecito penale.
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