L’art. 167 co. 8 bis del TUIR stabilisce che la disciplina CFC si applica anche in relazione alle controllate (ma non anche alle collegate) insediate in Paesi a fiscalità ordinaria se sono congiuntamente verificate le seguenti condizioni:
a) la partecipata estera paga imposte nello Stato o territorio di insediamento per un importo pari a meno della metà del carico impositivo cui sarebbe stata sottoposta qualora fiscalmente residente in Italia;
b) i proventi della partecipata estera derivano per più della metà da:
– gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie;
– cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica;
– prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.
La tassazione per trasparenza opera – è bene ribadirlo – solamente se entrambe le condizioni risultano soddisfatte.
L’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 23/E/2011 ha affermato che la verifica della condizione del tax rate è obbligatoria solo ove la società controllata rientri potenzialmente nel novero delle passive income company, o che effettui prevalentemente operazioni infragruppo, ovverosia sia potenzialmente in grado di rispettare la condizione di cui al punto b). Qualora ciò avvenga e sia altresì verificato il requisito della tassazione inferiore alla metà di quella italiana, il socio controllane italiano è tassato per trasparenza.
Qualora il soggetto estero svolga passive income company, per verificare l’applicazione della disciplina CFC, la controllante italiana è chiamata a calcolare, per ogni esercizio, l’imposta virtuale che la società controllata estera avrebbe pagato con l’applicazione delle regole applicabili a società residenti in Italia.
È necessario dunque:
– ricalcolare l’imponibile fiscale della società estera secondo le regole proprie del TUIR ed applicarvi la relativa aliquota impositiva del 27,5%;
– l’importo così calcolato (c.d. imposta virtuale) deve essere rapportato all’utile ante imposte risultante dal bilancio della società estera, al fine di valutare l’incidenza che la tassazione italiana avrebbe avuto sul risultato d’esercizio;
– tale valore deve, poi, essere raffrontato con il valore scaturente dall’applicazione della tassazione estera . Nel caso in cui l’incidenza italiana risulti superiore al doppio di quella derivante dall’applicazione della disciplina fiscale estera, la prima condizione per l’applicazione della CFC rule risulta soddisfatta.
Ai sensi del comma 8-ter dell’articolo 167 del Tuir, le disposizioni del comma 8-bis non si applicano se il soggetto residente dimostra, mediante interpello all’Agenzia delle Entrare, che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.
Il parere reso dall’Agenzia delle Entrate non è vincolante per il contribuente, che resta libero di decidere se uniformarsi o meno alla risposta ottenuta. Il carattere non vincolante di tale parere comporta che, nel caso in cui l’istante decida di non uniformarsi alla risposta ottenuta, resta per lui impregiudicata la possibilità di dimostrare anche successivamente, ad esempio in sede di contenzioso, la sussistenza delle condizioni che consentono la disapplicazione della CFC rule.
Entrando nel merito della questione, secondo la Corte di Giustizia, una costruzione societaria non è da considerare meramente artificiosa ove “da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive” (cfr. sentenza Cadbury-Schweppes, punto 75).
Nella C.M. 51/E/2010 l’Amministrazione Finanziaria ha indicato le prove da fornire per dimostrare che la società estera non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale:
• descrizione delle funzioni effettivamente esercitate dalla controllata estera, nonché degli assets utilizzati e dei rischi assunti. Gli assets, in particolare, vanno descritti in termini di rendimento, livello di rischio e liquidità;
• descrizione dei rapporti economico-finanziari della società estera con le altre società del gruppo, specificando, in particolare, la consistenza e la tipologia delle operazioni, attive e passive, poste in essere con le stesse nel periodo di riferimento;
• indicazione dell’entità delle componenti di reddito tipiche in relazione all’attività esercita dalla società estera e confronto tra tale dato e quello ricavabile dal bilancio della controllante residente.
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