La mancata riscossione delle fatture non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000, ai fini del reato di omesso versamento Iva. Sono queste le conclusioni ribadite dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1768, depositata ieri, 18 gennaio.
Il caso riguarda il legale rappresentante di una società, condannato per il reato di omesso versamento Iva (articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000), il quale proponeva ricorso per cassazione ritenendo non integrata la fattispecie di reato alla luce del mancato incasso delle somme dovute all’Amministrazione finanziaria a titolo di Iva.
La società, infatti, nell’anno 2014, aveva subìto mancati pagamenti delle proprie fatture che impedivano il versamento delle imposte liquidate (avendo, peraltro, negli anni precedenti versato più di 200.000 euro a titolo di Iva su fatture non incassate).
Le tesi sostenute dalla difesa non sono state però accolte dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza in esame, è tornata a ribadire che l’obbligo di versamento dell’Iva risultante dalla dichiarazione annuale è indipendente dall’effettiva riscossione delle somme, salvo il caso in cui non trovi applicazione il regime dell’“Iva per cassa”.
Anche con riferimento, poi, all’elemento soggettivo, la fattispecie prevede il dolo generico, ovvero la consapevolezza dell’omesso versamento nel termine stabilito per il pagamento dell’acconto successivo, ragion per cui i Giudici, aderendo all’orientamento prevalente, hanno rimarcato che il mancato pagamento delle fatture emesse non è una causa idonea ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Effettivamente la Corte di Cassazione ha in più occasioni ribadito come la colpevolezza del contribuente che non versa l’Iva non possa essere esclusa dall’omesso pagamento, da parte dei clienti, della necessaria provvista finanziaria, “a meno che non venga dimostrato che siano state adottate da quello tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’Iva per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo” (Corte di Cassazione, sentenza n. 23796 del 29.05.2019, così come citata dalla sentenza in commento).
Il mancato adempimento del debitore, ad avviso dei Supremi Giudici, è riconducibile dunque all’ordinario rischio di impresa, non idoneo ad escludere il dolo del reato, dovendo l’imprenditore approntare gli appropriati e prudenziali strumenti preventivi per far fronte, anche in relazione alle obbligazioni tributarie, agli eventuali inadempimenti contrattuali dei propri clienti.
Viene a tal proposito evidenziato che “come rilevato dalla Corte territoriale, l’imputato ha preferito pagare la retribuzione ai dipendenti e i crediti verso i fornitori strategici nell’ottica di conservazione della continuità aziendale, il che, trattandosi di una libera scelta del ricorrente, per un verso integra pienamente il dolo richiesto dalla fattispecie in esame, e, per altro verso, esclude la sussistenza della forza maggiore”.
Sempre aderendo alla prevalente giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha tuttavia accolto il ricorso dell’imputato ritenendo applicabile la causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis c.p..
Sono state pertanto ritenute errate le conclusioni raggiunte nella sentenza della Corte di Appello impugnata, secondo cui la causa di non punibilità non poteva trovare applicazione con riguardo ai reati il cui “grado di offensività che dà luogo a sanzione penale è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di punibilità”.
Non è dunque incompatibile con il giudizio di particolare tenuità la presenza di soglie all’interno della fattispecie tipica, come tra l’altro espressamente chiarito dalle Sezioni Unite (Sezioni Unite, sentenza n. 13681 del 06.04.2016).
Autore: Quotidiano Euroconference di Lucia Recchioni
wordpress theme by initheme.com