È quanto si evince dalla sentenza 17 aprile 2014 n. 1809 con cui il Tribunale di Milano ha mandato assolto un imprenditore, facendo evidentemente applicazione del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di omessi versamenti delle imposte.
Le osservazioni del Tribunale. L’articolo 10 – ter al D.Lgs. n. 74 del 2000 punisce con la reclusione (da sei mesi a due anni) chiunque non versi l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto inerente al periodo d’imposta successivo, per un ammontare superiore a 50 mila euro per ciascun periodo d’imposta. Il Tribunale di Milano osserva che il reato in questione è fattispecie a realizzazione progressiva, presupponendo l’accantonamento degli importi dovuti per l’IVA e l’inadempimento dell’obbligo di versamento mensile o trimestrale. Pertanto, il mancato accantonamento della provvista costituisce il primo elemento della fattispecie omissiva addebitabile all’imprenditore. Quest’ultimo è infatti obbligato a versare le somme accantonate nel termine indicato dall’articolo 10 – ter, con la conseguenza che la crisi di liquidità, di per sé, non può elidere il dolo del reato perché, rispetto a essa, “l’imprenditore ha l’obbligo di attivarsi per prevenire gli effetti e mettersi nelle condizioni di rispettare la scadenza tributaria”.
Diversa è tuttavia l’ipotesi in cui, come nel caso esaminato, la gestione dell’accontamento e del successivo pagamento sia stata di fatto resa impossibile per il determinarsi di una serie di eventi non prevedibili e non riconducibili a comportamenti colposi degli amministratori.
L’assenza di dolo. Il Tribunale ha rilevato come la società gestita dall’imputato si sia trovata “in una situazione di illiquidità dovuta a circostanze eccezionali non preventivabili dal legale rappresentante e non ascrivibili a sua colpa”, quali la drastica contrazione delle linee di finanziamento dovuta all’erronea segnalazione alla Centrale Rischi da parte di un istituto bancario e la crisi del settore comportante un allungamento dei tempi di pagamento da parte dei clienti, anche con ritardi sino a 300 giorni rispetto a 60/90 previsti da contratto.
In conclusione, il giudice di merito esclude la ricorrenza del dolo perché ritiene che l’imputato “non sia stato posto nella condizione di operare una scelta libera e consapevole”; da qui la sua assoluzione “perché il fatto ascrittogli non costituisce reato”.
Parziale incostituzionalità della norma. È bene rammentare che l’articolo 10-ter è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, a euro 103.291,38 (cfr. C.Cost. sentenza n. 80/14). Ad avviso della Consulta, nel quadro normativo in vigore prima della riforma introdotta dal D.L. 138/11, la soglia di 50 mila euro era irragionevole, poiché inferiore rispetto alle soglie di punibilità all’epoca previste per i più gravi reati di dichiarazione omessa (euro 77.468, 53) e di dichiarazione infedele (euro 103.291,38).
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