In particolare, l’art. 1 comma 935 della citata disposizione legislativa prevede che: All’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: « In caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l’anzidetto cessionario o committente é punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale».
La norma introduce, pertanto, la cosiddetta “oblazione” della detrazione Iva indebita, modificando per l’effetto la disciplina previgente in tema di sanzioni derivanti da errori commessi nell’applicazione della predetta imposta.
Il novellato comma 6 dispone oggi che, nei casi in cui venga posta in essere un’operazione Iva nella quale sia stata applicata un’aliquota d’imposta superiore a quella dovuta e l’imposta sia stata erroneamente assolta dal cedente/prestatore, rimane impregiudicato il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’imposta e allo stesso sarà applicata una sanzione amministrativa in misura fissa, compresa fra 250 e 10.000 euro.
La disposizione in commento, dunque, è chiara nel sancire quale conditio sine qua non ai fini dell’applicazione dell’oblazione che l’imposta sia stata in ogni caso puntualmente assolta dal cedente/prestatore.
Si ricorda, che in base alla previgente formulazione dell’art.6 comma 6 del D.lgs 471/97 le conseguenze in capo al cessionario/committente in caso di indebita detrazione dell’imposta sul valore aggiunto erano ben più onerose ovvero:
A questo punto, appare opportuno chiedersi se la novellata disposizione possa essere d’ausilio a quei contribuenti che, in sede di invio del c.d spesometro, sono venuti a conoscenza che talune Partite Iva associate ad uno più fornitori inseriti nella predetta comunicazione non erano più presenti in Anagrafica Tributaria a causa della cessazione della medesima, e in conseguenza di ciò hanno posto in essere una detrazione Iva indebita.
Infatti, come già evidenziato nel precedente articolo pubblicato sull’argomento in data 09 ottobre 2017 “Spesometro: la cessazione dell’attività e la successiva emissione della fattura” nessun problema si pone se la cessazione della partita Iva da parte del fornitore è avvenuta successivamente rispetto all’emissione della fattura da parte del medesimo. In questo caso, infatti, il contribuente che ha inviato il flusso telematico non era, infatti, tenuto ad effettuare alcuna rettifica o integrazione rispetto alla comunicazione già effettuata.
Discorso diverso doveva farsi, invece, qualora la fatturazione era avvenuta ad opera di un soggetto privo di partita Iva al momento dell’emissione della fattura. In siffatta ipotesi, infatti, il fornitore non aveva di fatto alcun debito titolo per l’emissione del predetto documento fiscale, non essendo titolare di partita Iva, ed al contempo il soggetto acquirente del bene o servizio aveva inopinabilmente portato in detrazione l’Iva in modo assolutamente illegittimo.
Ma vi è di più, la fattispecie appena descritta non può che configurare un ipotesi di frode fiscale derivante dalla partecipazione ad un’operazione soggettivamente inesistente ovvero un’operazione commerciale per la quale l’avvenuto versamento dell’IVA è avvenuto nei confronti di un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta.
Pertanto, appare opportuno chiedersi se l’introduzione dell’oblazione della detrazione indebita prevista dal novellato comma 6 sia utilizzabile ai fini di una eventuale regolarizzazione della fattispecie de qua.
Ebbene la risposta non potrà che essere negativa.
E ciò in quanto, da un attenta esegesi della norma in commento si ricava, senza alcun ragionevole dubbio, che costituisca presupposto indispensabile ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 6 la circostanza che “l’imposta sia stata in ogni caso erroneamente assolta dal cedente/prestatore”.
Ebbene, proprio tale presupposto induce ad escludere ab origine l’applicabilità dell’oblazione della detrazione indebita a siffatte fattispecie. Infatti, non appare verosimile ipotizzare che il prestatore/committente che ha operato con una fittizia situazione fiscale nei confronti dei terzi ponga, poi, in essere tutti gli adempimenti fiscali connessi all’imposta illegittimamente addebitata alla controparte primo fra tutti il predetto “erroneo assolvimento dell’imposta”.
A dirimere eventuali residui dubbi sul punto è inoltre lo stesso art. 6, laddove all’ultimo capoverso del comma 6 puntualizza “La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in contesto di frode fiscale”.
Ebbene, si rammenta che la fattispecie in esame (operazione soggettivamente inesistente) configura una chiara ipotesi di frode fiscale pertanto alcun dubbio potrà residuare circa l’impossibilità di restituire l’imposta nel caso de quo.
Non ci resta che ribadire quanto già asserito in seno all’articolo del 13 ottobre 2017 “SPESOMETRO E PARTITE IVA FORNITORI CESSATE: LE POSSIBILI SOLUZIONI” in merito all’adozione, in siffatte ipotesi, di un atteggiamento prudenziale, in ossequio al quale al contribuente, preso atto dell’invio della comunicazione con la segnalazione di P. Iva cessata, non resterà altra scelta che correggere la registrazione effettuata, rifare la liquidazione per restituire l’Iva indebitamente detratta (utilizzando il ravvedimento operoso), ripresentare le Comunicazioni delle liquidazioni Iva trimestrali e ritrasmettere infine lo spesometro con i dati annullati/rettificati.
Ovviamente il contribuente potrà poi intraprendere le opportune misure legali contro il cedente al fine di ottenere la ripetizione dell’imposta indebitamente versata al medesimo.
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