Ad esempio se una ditta ha acquistato una partita di merce per un importo pari a 10.000 euro di imponibile e 2.200 euro di Iva, e non ha ricevuto la relativa fattura, l’acquirente sarà destinatario di un’autonoma sanzione pari al 100 per cento del tributo, quindi pari a 2.200 euro. Tale sanzione è completamente autonoma rispetto a quella irrogabile al soggetto cedente nell’ipotesi di mancata fatturazione.
In tal caso l’Erario non richiede all’acquirente l’imposta sul valore aggiunto, il cui debito risulta a carico esclusivamente del cedente. La somma addebitata è a titolo di sanzione e la commisurazione della stessa è effettuata in misura corrispondente all’Iva. Si tratta esclusivamente di una tecnica per la determinazione della penalità che non deve indurre l’interprete in errore.
Se l’acquirente soggetto passivo ai fini Iva, non ha ricevuto la fattura relativa all’acquisto effettuato, ed intende ora evitare l’irrogazione della predetta sanzione, deve procedere alla regolarizzazione dell’operazione. La penalità può essere evitata emettendo un’autofattura e versando l’imposta sul valore aggiunto nelle casse dell’Erario ai sensi dell’art. 6, comma 8 del D.Lgs n. 471 del 1997.
La regolarizzazione deve essere effettuata, se il soggetto passivo non riceve la fattura entro i quattro mesi successivi rispetto al momento di effettuazione dell’operazione, entro il 30 giorno successivo. Il contribuente deve seguire la seguente procedura:
Avvenuta la regolarizzazione, l’Ufficio restituirà al contribuente un esemplare dell’autofattura con l’attestazione della regolarizzazione e del pagamento, e questo documento andrà registrato nel registro acquisti, in modo da considerare in detrazione l’imposta secondo le regole ordinarie.
In alcuni casi è opportuno che il cedente e l’acquirente si coordinino tra loro per evitare che la regolarizzazione dell’operazione determini una duplicazione di versamento con la necessità di chiedere il rimborso della maggiore Iva versata.
Si consideri ad esempio il caso in cui il cedente abbia ricevuto nell’anno 2017 una dichiarazione di intento per un importo pari a 150.000 euro. Dal 1 marzo 2017 le lettere di intento riguardano esclusivamente le operazioni singole o gli acquisti fino ad un certo ammontare. Non è più possibile rilasciare dichiarazioni di intento a tempo, ossia valide per un certo periodo temporale. Si supponga ancora che per un errore materiale il fornitore non si accorga di aver superato il predetto limite di 150,000 euro, avendo già esaurito tale soglia, emettendo un’ulteriore fattura di 20.000 euro in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 633/1973.
L’esportatore abituale, avendo ricevuto una fattura senza Iva, potrà regolarizzare l’operazione con la procedura descritta al fine di evitare l’irrogazione della relativa sanzione. A sua volta il cedente, che ha emesso erroneamente la fattura in regime di non imponibilità, potrebbe decidere di avvalersi del ravvedimento operoso. Ciò al fine di evitare l’irrogazione di una sanzione il cui importo è variabile tra il 100 ed il 200 per cento del tributo.
Se il cedente regolarizza l’operazione versando spontaneamente le sanzioni ridotte e a sua volta l’acquirente, esportatore abituale, emette l’autofattura con l’indicazione dell’Iva, versando altresì il tributo ivi indicato, si determinerà una duplicazione di versamenti. Per tale ragione è necessario che le due parti si coordinino tra loro anche al fine di evitare l’irrogazione delle relative sanzioni ed autonome sanzioni.
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