Il caso. Con la sentenza pubblicata ieri, gli Ermellini si sono pronunciati a favore della resistente Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità delle sanzioni irrogate alla società ricorrente con riguardo all’omessa registrazione sui libri paga di una dipendente.
La tesi della ricorrente. Ad avviso della società, il giudice di secondo grado era incorso nella violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2700, 2727 e 2729 c.c., non avendo confermato anche sul punto della data di assunzione della lavoratrice quanto emerso dal verbale di accertamento ispettivo dell’INPS. In tal modo aveva trascurato che “i verbali ispettivi o formano piena prova relativamente all’intero accertamento o non lo sono per nulla, a maggior ragione, quando il datore di lavoro vi abbia fatto acquiescenza senza riserve”.
Orientamento consolidato. Ebbene, la Suprema Corte, in ordine alla suddetta doglianza, ha ricordato la consolidata giurisprudenza secondo cui “i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti dagli altri pubblici Ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata certamente non si estende alla verità sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante” (per tutte, sentenza 17355/2009).
Per quanto riguarda poi la verità delle dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, “la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non ricade” (cfr. sentenze n. 1786/2000 e n. 3973/1998).
Conferma della sentenza impugnata. Dunque, non può pretendersi, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, “che le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali – si legge in sentenza – debbano essere accolte o disattese nella loro interezza, senza alcuna possibilità di quel differenziato vaglio critico da parte del giudice che, invece, è stato compiuto in prime cure e confermato dall’impugnata sentenza”. Il ricorso è stato pertanto respinto e le spese hanno seguito la soccombenza.
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