La controversia riguarda un contribuente che ha trasferito la residenza in Venezuela nel 1974. L’Agenzia delle Entrate lo ha ritenuto soggetto passivo delle imposte sul reddito in Italia, quindi ha emesso nei suoi confronti un avviso di accertamento, che però è stato annullato dalla CTP di Varese, posto che l’Ufficio non ha fornito elementi idonei a dimostrare la permanenza del domicilio nello Stato.
La Commissione ha rilevato che, non vertendosi nell’ipotesi di inversione dell’onere della prova previsto dal comma 2 bis dell’art. 2 del TUIR (cioè il trasferimento della residenza in un paese a fiscalità agevolata), spettava all’Ufficio fornire la prova dell’esistenza di almeno uno dei presupposti fondanti la residenza fiscale in Italia.
Secondo il Collegio giudicante, gli indizi posti a base dell’accertamento non hanno raggiunto quel grado di gravità, precisione e concordanza che consentono di ritenere raggiunta la prova ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.
Eccessivamente generico è risultato, ad esempio, l’indizio della corrispondenza inviata presso l’abitazione in Italia, in quanto disancorato dal requisito della “temporalità”, mentre – scrivono i giudici -“l’intestazione, unitamente al coniuge, di un conto corrente presso una banca italiana (alimentato da flussi finanziari provenienti dalla Svizzera) deve essere esaminato congiuntamente al mantenimento del coniuge, che privo di mezzi propri, abita nella casa di proprietà del ricorrente; e al riferimento della distinta patrimoniale riportante investimenti, riferibili al ricorrente, presso una banca svizzera in dollari U.S.A., che alimentano il C/C italiano. […] tutti questi indizi devono essere valutati congiuntamente in quanto finalizzati ad un unico ed identico scopo: il mantenimento del coniuge. Infatti il punto di partenza è il sostenimento delle spese di mantenimento del coniuge (asseritamente separato di fatto); da ciò consegue la necessità di tenere un conto corrente in Italia il quale però viene alimentato non da redditi prodotti in Italia dal ricorrente, che non risulta averne, ma esclusivamente dall’estero (ciò che è confermato dalla distinta patrimoniale evidenziante la disponibilità finanziaria in dollari USA) al fine di far fronte a tutte le esigenze di mantenimento del coniuge e ricomprendenti: il sostentamento quotidiano, il mantenimento della proprietà della casa di (omissis), le forniture (gas, luce e acqua), il pagamento delle imposte locali, il personale addetto alla casa, l’acquisto di un’autovettura da mettere a disposizione del coniuge. Tutto ciò rientra nel complessivo onere per il sostentamento del coniuge che il ricorrente ha conservato.“
La CTP, in definitiva, ha ritenuto che i fatti sopra evidenziati siano afferenti a un interesse personale/familiare del ricorrente e non a un interesse economico/patrimoniale; perciò, se anche il ricorrente ha conservato in Italia interessi personali o familiari, questo, “in assenza della prova della conservazione degli interessi patrimoniali ed economici, non è sufficiente ad integrare il requisito del domicilio in Italia, in quanto il concetto civilistico di domicilio non può prescindere dall’essere (quel luogo) la sede principale dei propri affari (economici).”
L’Ufficio, inoltre, non ha dimostrato la stabile permanenza del ricorrente in Italia per 183 giorni nel periodo d’imposta 2013. Dal canto suo il ricorrente ha sostenuto che, proprio per l’anno in accertamento, in considerazione dell’età, si era ritirato dagli affari, tutti concentrati all’estero, e ha documentato di aver trascorso 111 giorni presso il figlio in Florida e 194 presso la figlia a Palma de Maiorca.
“Conclusivamente” – si legge in sentenza – “la Commissione, alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte sugli indizi posti dall’ufficio a base del proprio accertamento, ritiene che l’ufficio non abbia provato che il ricorrente abbia conservato il proprio domicilio in Italia non avendo provato che il (omissis) ha ancora nel 2013 in Italia il centro principale dei propri interessi patrimoniali ed economici; interessi che, come è emerso dagli atti di causa, essendo tutti di natura imprenditoriale si sono progressivamente esauriti in Italia e aperti in America (prima solo in Venezuela, poi anche in Florida) e i cui proventi sono (almeno in parte) confluiti su un conto in Svizzera, mediante deposito in dollari U.S.A. […] Conseguentemente il ricorrente non può ritenersi fiscalmente residente in Italia in base al domicilio. Ma non può neppure esserlo in base al presupposto della residenza civilistica perché, come già evidenziato, l’ufficio non ha provato la presenza fisica in Italia del ricorrente per almeno 183 giorni nell’anno 2013; (anzi il ricorrente ha fornito documentazione attestante il contrario) e la residenza civilistica è indissolubilmente legata al fatto oggettivo della dimora abituale della persona fisica in un luogo. L’accertamento impugnato deve quindi essere annullato.”
La CTP di Varese ha condannato l’Ufficio resistente al pagamento delle spese processuali.
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