L’ammontare considerevole del reddito professionale e i costi sostenuti, in assenza di collaboratori o dipendenti, non rendono assoggettabile all’IRAP il medico di base. È quanto emerge dalla sentenza 28 maggio 2014 n. 11919 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.
La vicenda. Ricorre per cassazione un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale che si è visto dare torto dalla CTR della Toscana in merito a una cartella esattoriale concernente l’IRAP per il 2001.
Il Giudice d’appello ha ritenuto, sulla base degli atti di causa, che l’attività del contribuente fosse caratterizzata da “un’organizzazione di beni strumentali di rilevanti dimensioni” capace di influire positivamente sul valore dei servizi professionali e sull’entità dei ricavi annuali.
Dinanzi ai supremi giudici il medico ha fatto invece presente di essere privo di autonoma organizzazione “disponendo dei soli strumenti necessari all’esercizio della professione senza l’ausilio di alcun dipendente o collaboratore”. Pertanto la CTR aveva errato nel dare ragione al Fisco ancorando tale responso al semplice ammontare dei ricavi e dei costi indicati nella dichiarazione dei redditi.
Ebbene, gli Ermellini hanno condiviso le argomentazioni del ricorrente.
Le osservazioni della S.C. La Sezione Tributaria del Palazzaccio precisa – ancora una volta -che il “presupposto per l’applicazione dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, che ricorre qualora il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione e impieghi beni strumentali, eccedenti per quantità o valore, il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l’esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”.
Il Suprema Collegio aggiunge che l’ammontare del reddito in sé considerato non è per nulla indice di autonoma organizzazione, mentre le spese per ammortamento di beni strumentali e per compensi a terzi, ove modeste, “costituiscono dato equivoco, non evincendosi né che le prime si riferiscano a beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, né che le seconde siano attinenti a rapporti di collaborazione di tipo continuativo” (cfr. Cass. n. 4929 del 2012).
Nel caso di specie, i giudici regionali della Lombardia hanno fatto malgoverno di questi principi, poiché hanno ritenuto sussistere un’organizzazione professionale di rilevanti dimensioni solo in virtù di ricavi alti per attività professionali e spese tutto sommato contenute per immobili, consumi e compensi a terzi; al riguardo, la CTR “non ha tenuto in nessun conto la specificità della professione di medico di base svolta dal contribuente in assenza di personale dipendente e l’obbligatorietà dello studio nel quale la professione veniva svolta, nonché le giustificazioni addotte dal contribuente (e non contestate dall’Agenzia) sia in merito alla quota di ammortamento (concernente una parete divisoria dello studio) che in merito a un alto compenso (corrisposta a un collega per l’obbligatoria sostituzione in caso di assenza del medico)”.
Nuovo giudizio. Insomma, per la Suprema Corte la sentenza del giudice d’appello non può che essere cassata e decisa nel merito, con condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali.
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