Il reato in questione può essere commesso da qualsiasi contribuente e potrebbe essere chiamato a risponderne, a titolo di concorso, anche il consulente fiscale che abbia istigato la condotta vietata o che abbia comunque fornito un contributo consapevole e adeguato alla realizzazione della stessa (vedi Cass. n. 24166/2011). Quanto all’elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico, occorre cioè dimostrare la consapevolezza e la volontà di un’avvenuta compensazione per un importo superiore a 50.000 euro di crediti inesistenti o non spettanti. Il reato si consuma nel momento in cui si invia un modello F24 contenente l’indebita compensazione. La pena edittale è la reclusione da sei mesi a due anni.
L’articolo 10-quater fa riferimento ai tributi compensabili ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/97, norma che consente al contribuente di utilizzare, nel nuovo sistema dei versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, l’eventuale compensazione dei crediti dello stesso periodo nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Pertanto, dal 1997, l’istituto della compensazione ha trovato un maggiore spazio nel nostro sistema, interessando imposte di diversa natura. Occorre pertanto capire se si commette il reato di cui all’articolo 10-quater solo quando, per effetto di compensazioni illecite, non si pagano l’IVA e le imposte sui redditi (interpretazione restrittiva) o se invece la responsabilità penale sorge anche quando non si pagano altre imposte (interpretazione estensiva).
La tesi restrittiva trova la sua ragion d’essere nel fatto che le norme inserite nel D.Lgs. n. 74/2000 hanno a oggetto unicamente i reati in materia di imposte sui redditi e di IVA. Secondo l’Agenzia delle Entrate, però, la soluzione estensiva è quella da preferire (circolare n. 28/E del 2009). Posizione questa che trova conferma anche nella giurisprudenza di legittimità.
Con la sentenza n. 13996 del 2012, la Suprema Corte ha affermato che anche l’omesso versamento di contributi può rilevare ai fini della fattispecie di indebita compensazione, aderendo a un’interpretazione estensiva già sostenuta da una parte della dottrina e fondata: a) sulla ratio della norma (protezione penale di un istituto che ha registrato frequenti condotte illecite); b) sul riferimento normativo alle “somme dovute” ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, termine generico ascrivibile a tutto ciò che è possibile versare con il modello F24.
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