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Frode fiscale. Sequestro per l’amministratore

10 Febbraio 2014silvanaNews

Cassazione Penale sentenza del 6 febbraio 2014

In ipotesi di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, è legittimo il sequestro dei beni dell’imprenditore, senza la previa valutazione di quelli della società – beneficiaria dell’utile determinato dal reato -, posto che nessuna norma impone l’escussione preventiva del capitale sociale.

La sentenza
. È quanto emerge dalla sentenza 6 febbraio 2014 n. 5759 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale.

Colpiti i beni del l.r.
Nei confronti del legale rappresentante di una società di capitali era disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, in relazione al reato ipotizzato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. L’indagato si è rivolto al giudice del riesame che ha annullato il provvedimento del GIP. Di qui il ricorso per cassazione della Procura della Repubblica.

Annullata l’ordinanza del Tribunale.
Investita dell’esame della controversia, la Suprema Corte ha ribaltato le sorti del giudizio, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del Riesame.

Gli Ermellini affermano che non sussiste l’obbligo di escutere preventivamente il patrimonio dell’azienda. Nei reati tributari il profitto è costituito anche dal risparmio economico che consegue alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale. Le stesse Sezioni Unite Penali (n. 18374 del 2013) hanno affermato che il profitto confiscabile, anche nella forma per equivalente, “è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo”. E, dunque, per tale ragione che, nel caso in esame, il ragionamento del Tribunale è parzialmente esatto quando afferma che il profitto derivato dal reato tributario ha incrementato il patrimonio della società. Ciò, infatti, è vero solo nel senso che, a seguito del reato tributario, non si è verificato un decremento del patrimonio circolante (vale a dire, contanti), ma non anche nel senso che, all’interno dei conti della società, sia conseguentemente individuabile in concreto una somma direttamente sequestrabile. E, infatti, l’accrescimento patrimoniale è solo il riflesso di un mancato depauperamento che, però, non si traduce in un elemento concreto, materialmente apprensibile.

Ha ragione la Procura. In conclusione, ha ragione la parte ricorrente quando sostiene che, contrariamente a quanto asserito dal Tribunale, nella specie, non occorreva alcuna specifica dimostrazione dell’impossibilità di sequestrare – in alternativa ai beni dell’indagato – la corrispondente somma nel patrimonio della società.

Autore: Redazione Fiscal Focus

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Dott.ssa Silvana Bruce

Dott.ssa Silvana Bruce

Titolare delle studio B&G Italia S.r.l. & Partners Collaboratrice diretta dell’Ambasciata Argentina – Dipartimento Sviluppo Economico

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