Gli Ermellini affermano che non sussiste l’obbligo di escutere preventivamente il patrimonio dell’azienda. Nei reati tributari il profitto è costituito anche dal risparmio economico che consegue alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale. Le stesse Sezioni Unite Penali (n. 18374 del 2013) hanno affermato che il profitto confiscabile, anche nella forma per equivalente, “è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo”. E, dunque, per tale ragione che, nel caso in esame, il ragionamento del Tribunale è parzialmente esatto quando afferma che il profitto derivato dal reato tributario ha incrementato il patrimonio della società. Ciò, infatti, è vero solo nel senso che, a seguito del reato tributario, non si è verificato un decremento del patrimonio circolante (vale a dire, contanti), ma non anche nel senso che, all’interno dei conti della società, sia conseguentemente individuabile in concreto una somma direttamente sequestrabile. E, infatti, l’accrescimento patrimoniale è solo il riflesso di un mancato depauperamento che, però, non si traduce in un elemento concreto, materialmente apprensibile.
Ha ragione la Procura. In conclusione, ha ragione la parte ricorrente quando sostiene che, contrariamente a quanto asserito dal Tribunale, nella specie, non occorreva alcuna specifica dimostrazione dell’impossibilità di sequestrare – in alternativa ai beni dell’indagato – la corrispondente somma nel patrimonio della società.
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