L’imprenditore, che è anche il presidente dell’Associazione sportiva dilettantistica, va incontro a una condanna per i reati di cui agli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74 del 2000, se non emerge l’effettività delle sponsorizzazioni.
È quanto emerge dalla sentenza 31253/17 della Terza Sezione Penale della Cassazione.
Gli Ermellini hanno confermato la condanna alla pena di otto mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, emessa dalla Corte d’Appello nei riguardi del titolare di un pastificio che, secondo l’accusa, avrebbe sfruttato il suo ruolo di presidente di un’ASD per pagare meno tasse.
A finire nel mirino dell’Autorità giudiziaria sono state emesse tre fatture dall’ASD, a favore della società rappresentata dall’imputato, in relazione a dei contratti di sponsorizzazione e ad alcune prestazioni promo-pubblicitarie (consistenti nella pubblicità sul sito internet della società sportiva, nonché nell’apposizione del logo sulla carta intestata e sulla carrozzeria dei pulmini) di cui non è stata dimostrata, secondo i Giudici, l’effettiva esistenza.
Nel caso specie, né la documentazione versata in atti (un “maestrino” e la copia di alcuni assegni privi di causale), né le dichiarazioni dei testi, tra cui gli allenatori della squadra, hanno aiutato la difesa a smontare la tesi accusatoria.
Per la Suprema Corte, in maniera del tutto logica, la sentenza impugnata ha escluso l’effettiva esistenza dei contratti di sponsorizzazione, “dando compiutamente conto degli elementi di fatto sulla base dei quali è stato ritenuto il carattere fittizio delle relative prestazioni: indeterminatezza delle relative clausole contrattuali a fronte di un ingente importo della sponsorizzazione, assenza del logo sulla carta intestata della società sportiva e sui pulmini, identità soggettiva tra sponsorizzante e sponsorizzatore; sicché la sentenza impugnata si sottrae, sotto tale profilo, a qualunque censura da parte dell’odierno ricorrente, essendo stata motivatamente svalutata la circostanza […] dell’utilizzo del marchio della società sul sito web, ritenuta non idonea a inficiare gli elementi probatori di segno opposto e, dunque, a dimostrare la veridicità dei contratti di sponsorizzazione.”
I Giudici del merito hanno altresì evidenziato come dall’analisi dei conti correnti della società sportiva sia emerso che una somma corrispondente all’ammontare dei quattro assegni citati dalla difesa era stata prelevata dallo stesso imputato successivamente al versamento, “senza che l’interessato sia stato in grado di dimostrarne la causale; ciò a dimostrazione del fatto che, in realtà, lo stesso versamento di denaro a favore della società sportiva era stato chiaramente fittizio. In buona sostanza, secondo quanto posto in luce dalle sentenze di merito, le somme versate in virtù di un contratto di cui non è stata dimostrata l’effettività delle prestazioni erano successivamente rientrate nella disponibilità della stessa persona fisica che le aveva erogate.”
In conclusione, il ricorso è stato rigettato dalla Suprema Corte e l’imputato dovrà pagare le spese processuali e una somma (€ 2.000,00) alla Cassa delle Ammende.
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