Il protagonista della vicenda giudiziaria in questione è un fabbro veneziano che è stato patrocinato dall’AUA con l’avvocato Francesco Carraro.
L’imprenditore ha regolarmente pagato gli stipendi ai propri dipendenti, ma non i contributi INPS e INAL per mancanza della liquidità necessaria.
Ebbene, sulle somme dovute a titolo di contributi sono maturati sanzioni e interessi e il debito verso l’erario è così lievitato fino a 660 mila euro. Ma tale debito non potrà essere riscosso – almeno per ora – perché, secondo il Tribunale, Equitalia ha agito senza averne titolo, ossia nel caso di specie il concessionario non poteva pretendere il saldo del debito per conto dell’INPS e dell’INAIL.
L’associazione che ha patrocinato l’imprenditore veneziano fa notare che “sono sentenze come questa che fanno la giurisprudenza e che dimostrano che anche Davide può battere Golia. Noi, nati come associazione per difendere gli automobilisti destinatari di multe ingiuste, ora puntiamo sulla riforma di Equitalia da società per azioni a ente pubblico. Una società di capitali che, legittimamente, persegue scopi di lucro non può gestire la riscossione delle tasse e dei tributi lucrando sugli stessi ed aggravando le già precarie condizioni del contribuente. L’erario incasserebbe molto di più limitandosi ad esigere gli importi dovuti maggiorati dei soli interessi legali senza gli aggi e le more che trasformano somme normali in macigni insostenibili”.
La sentenza n. 3079/2015 del Tribunale di Venezia rappresenta sicuramente un precedente che può tornare utile quando s’intenda impugnare una cartella di pagamento.
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