Ordinanza Corte di Cassazione n. 10096 del 21.04.2017– La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10096 del 21.04.2017, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di presupposti per il disconoscimento di una Onlus.
Nel caso di specie la CTR aveva riformato la decisione di primo grado, non avendo l’Associazione assolto gli oneri probatori circa l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale e comunque non ricorrendo i requisiti richiesti dall’art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 460 del 1997, il quale richiede che beni o servizi vengano ceduti o prestati a soggetti terzi, cioè estranei all’ organizzazione, non già a soci, associati o partecipanti, in quanto il perseguimento della finalità solidaristica deve intendersi verificato solo laddove l’attività istituzionale vada a beneficio di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari e dei componenti di collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari.
L’Associazione ricorreva quindi per la cassazione della sentenza, affermando che il Giudice di appello non aveva considerato che “le finalità di solidarietà sociale s’intendono realizzate anche quando tra i beneficiari delle attività statutarie dell’organizzazione vi siano i propri soci, associati o partecipanti o gli altri soggetti indicati alla lettera a) del comma 6, ove costoro si trovino nelle condizioni di svantaggio di cui alla lettera a) del comma 2”.
Secondo la Cassazione il ricorso era infondato, avendo comunque la CTR evidenziato che, a prescindere da chi fossero i soggetti destinatari, la contribuente non aveva fornito la prova dello svolgimento delle attività solidaristiche.
La Suprema Corte rileva peraltro che l’attività delle ONLUS, meritevole di un regime fiscale di favore, deve essere caratterizzata dal perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale e che, a detto fine, l’art. 10, D.Lgs. n. 460 del 1997 (a prescindere da alcuni casi in cui la qualifica di ONLUS è attribuita di diritto: cfr. comma 8) prescrive precisi vincoli statutari, individuando – tassativamente – i settori di attività in cui le ONLUS devono operare e stabilendo una serie di obblighi (tra i quali appunto “l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale”) e divieti.
Lo scopo solidaristico e la nozione di svantaggio – Lo scopo solidaristico viene del resto ancor meglio specificato nel comma 2 dell’art. 10, a tenore del quale, in relazione ad alcuni settori (assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili), esso è configurabile (solo) quando l’attività è diretta “ad arrecare benefici” (oltre che a “componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari”) “a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari”, e dunque, a soggetti terzi diversi dai soci delle ONLUS stesse.
E tuttavia, ai sensi dell’art. 10, comma 3, le finalità di solidarietà sociale s’intendono comunque realizzate anche quando tra i destinatari delle attività statutarie dell’organizzazione vi siano i propri soci, associati o partecipanti o gli altri soggetti indicati alla lettera a) del comma 6, se costoro si trovano nelle condizioni di svantaggio di cui alla lettera a) del comma 2, laddove la nozione di “svantaggio” (intesa alla luce del principio di stretta interpretazione delle norme di agevolazione) individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti, ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale.
La decisione della CTR era dunque corretta, fondandosi proprio sul difetto di prova delle condizioni richieste dal D.Lgs. n. 460 del 1997.
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