È quanto emerge dalla sentenza n. 3931/2015 della Corte di Cassazione – Sezione Terza Penale.
La S.C., accogliendo il ricorso della Procura della Repubblica, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Bologna che ha mandato assolto – per non aver commesso il fatto – un socio e legale rappresentante di una SNC, imputato del reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. n. 74/00.
L’imputato ha sostenuto di non aver sottoscritto e presentato la dichiarazione annuale, avendovi provveduto il liquidatore. Tale difesa si è rivelata efficace nel giudizio dinanzi alla Corte territoriale, che infatti ha escluso ogni responsabilità del prevenuto, atteso che la dichiarazione asseritamente fraudolenta era stata effettivamente sottoscritta dal liquidatore della società e che non erano emersi altri elementi tali da far ravvisare né il concorso di persone nel reato (articolo 110 cod.pen.) né l’errore determinato dall’altrui inganno (articolo 48 del cod.pen.).
La ricorrente Procura, dal canto suo, ha evidenziato che il liquidatore aveva sì sottoscritto la dichiarazione contenete elementi passivi fittizi, ma che ciò era avvenuto a fronte della previa registrazione delle fatture false da parte dell’imputato, che si era ben guardato dall’informare il liquidatore della frode, inducendolo in errore.
Investita della controversia, la SC è giunta a conclusioni difformi rispetto al giudice del merito, con conseguente annullamento del verdetto assolutorio.
In base all’articolo 2 del D.Lgs. n. 74/00, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Dal Palazzaccio affermano che si tratta di un reato “istantaneo”, nel senso che si consuma al momento della presentazione della dichiarazione, rimanendo irrilevante l’inserimento delle fatture p.o.i. nella contabilità societaria. Si tratta, poi, di un delitto che non è punibile a titolo di tentativo (art. 6 D.Lgs. n. 74/00).
Ne consegue, con riferimento al caso concreto, che l’attribuibilità del reato in questione a soggetti diversi da coloro che hanno presentato la dichiarazione non può trovare diretto fondamento nella disciplina speciale contenuta nel decreto legislativo 74/2000, ma può radicarsi in quella più generale del codice penale e, segnatamente, nelle norme che regolano il concorso di persone (art. 110 c.p.) o la figura del cosiddetto “autore mediato” (art. 48 c.p. – del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo).
Ebbene, di questi principi dovrà tenere conto la Corte d’appello, in sede di rinvio.
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