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DECRETO DIGNITÀ: LOTTA AL PRECARIATO O CONDANNA AL TURNOVER?

5 Luglio 2018silvanaNews

Le nuove regole su durata e rinnovi nei contratti a tempo determinato che saranno presto introdotte dal Decreto Dignità fanno molto discutere addetti ai lavori e rappresentanti datoriali e dei lavoratori.

Dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri il decreto entrerà in vigore non appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Anche il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, in un comunicato stampa ufficiale, ha espresso perplessità e riserve, restando in attesa del testo ufficiale del provvedimento di legge del quale, tra l’altro, non appare evidente l’urgenza tale da giustificare il discorso allo strumento del decreto legge.

Oltre a reintrodurre l’obbligo di causale nel caso di contratti a termine di durata superiore a 12 mesi, il Decreto che mira a contrastare il precariato aumenta il costo contributivo per l’impresa per tutti i rinnovi successivi al secondo.

Luigi Di Maio, il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, ha annunciato il provvedimento come uno dei primi passi per “smantellare il Jobs Act” e contrastare il precariato, ma il timore è che si arrivi ad un pericoloso salto indietro nel tempo.

Assunzioni a tempo determinato: cosa cambia? Il Decreto Dignità dispone una riduzione pari ad un terzo della durata massima dei contratti a termine stipulabili tra il datore di lavoro e il medesimo lavoratore: a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto, tale durata passerà da 36 a 24 mesi. Ridotto anche il numero dei possibilirinnovi, che passano da 5 a 4 sempre nel rispetto dei 24 mesi di durata.

Inoltre, viene reintrodotto l’obbligo di indicare la causale nel caso di contratti a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi: se così sarà confermato anche il testo definitivo del decreto, il primo contratto, purché di durata inferiore all’anno, potrà essere stipulato in forma libera mentre ogni rinnovo sarà legittimo soltanto previa indicazione dei motivi alla base della necessità di prorogare il rapporto a termine.

In questo caso deve trattarsi di esigenze:

  • temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive;
  • connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
  • relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali, individuati con decreto del Ministero del Lavoro delle politiche Sociali,

ed esplicitate nello stesso contratto di lavoro.

Maggiorazione contributiva per i rinnovi – Per disincentivare il ricorso a contratti a tempo determinato, il Decreto Dignità non ha cambiato soltanto termini, durata e regole sui rinnovi.

Tra le novità vi è l’aumento del costo contributivo che l’impresa dovrà pagare, che sale dello 0,5% per ogni rinnovo a partire dal secondo. Una vera e propria batosta per le aziende che rischia di ripercuotersi negativamente anche nei confronti dei lavoratori.

Come sottolineato dalla Cgil, il primo tra i sindacati che si è scagliato contro il Jobs Act del Governo Renzi: “appare evidente come tale aggravio, cioè l’aumento dello 0,5% del contributo Naspi della legge 92/12, rischi di essere ragione per la quale le imprese possano decidere di non rinnovare alla scadenza dei 12 mesi, procedendo ad alimentare il turn over attraverso plurimi contratti a tempo determinato di 12 mesi”.

Autore: Debhorah Di Rosa. Redazione Fiscal Focus. Direttore Antonio Gigliotti.

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Dott.ssa Silvana Bruce

Dott.ssa Silvana Bruce

Titolare delle studio B&G Italia S.r.l. & Partners Collaboratrice diretta dell’Ambasciata Argentina – Dipartimento Sviluppo Economico

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