Con specifico riferimento ai costi di impianto e di ampliamento occorre prestare particolare attenzione alla normativa fiscale.
In deroga al principio di competenza, infatti, l’art. 108 Tuir stabilisce che tali costi sono deducibili dall’esercizio nel quale sono conseguiti i primi ricavi.
È quindi un altro principio ad assumere rilevanza in questo specifico caso: quello della correlazione tra costi e ricavi.
Tale principio, però, non ispira altresì la disciplina civilistica.
Pertanto:
– ai fini della disciplina civilistica, l’art. 2426 c.c. ci impone di ammortizzare il costo nell’arco dei primi cinque anni;
– ai fini della disciplina fiscale, potremo iniziare a dedurre il costo solo dal momento in cui provvederemo a registrare i primi ricavi.
La deducibilità “rinviata” ai primi esercizi di conseguimento dei ricavi si estende a tutti gli altri oneri pluriennali, tra i quali possiamo ricordare le spese relative a studi e ricerche, le spese di pubblicità e di propaganda e le spese di rappresentanza.
I costi di impianto e di ampliamento
I “costi di impianto e di ampliamento” identificano quella particolare tipologia di oneri sostenuti in specifiche fasi della vita dell’azienda: appunto, la costituzione e l’ampliamento.
Se, quindi, i costi di impianto sono costi sostenuti in occasione della nascita dell’impresa, quelli di impianto sono rappresentati dei costi sostenuti durante il funzionamento dell’azienda, a seguito di opportunità o esigenze di crescita.
Si badi bene però: i costi di impianto e di ampliamento possono essere capitalizzati soltanto nel caso in cui sia dimostrabile la futura utilità degli stessi.
Si pensi a tal proposito alle aspettative reddituali di una società che sta nascendo, alle vendite di una specifica rete commerciale che stiamo costituendo, al miglioramento della situazione finanziaria dell’impresa a seguito dell’aumento di capitale.
Al contrario, non possiamo invece banalmente considerare come costi di impianto e di ampliamento tutti i costi sostenuti in un determinato periodo della vita dell’impresa (che può essere quello della nascita come quello della crescita).
Possiamo quindi procedere alla capitalizzazione dei seguenti costi sostenuti in occasione della nascita dell’impresa:
– spese per la redazione dell’atto costitutivo (spese notarili e tasse connesse);
– spese per l’emissione di azioni;
– spese per acquisizione di licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizione in albi;
– spese sostenute per la ricerca e l’acquisto delle fonti di approvvigionamento;
– spese per la ricerca e l’addestramento iniziale del personale;
– spese per le ricerche di mercato, l’allacciamento delle utenze, la creazione della rete commerciale, le spese di pubblicità sostenute per la fase di avvio dell’attività.
Allo stesso modo, potremo capitalizzare le seguenti tipologie di spesa connesse alla fase di “ampliamento”:
– spese per le consulenze legali e commerciali;
– oneri notarili;
– costi sostenuti per la quotazione in Borsa;
– spese sostenute per la ricerca nella fase di aumento della produzione aziendale;
– costi per la creazione di nuove reti distributive;
– costi per la selezione e l’addestramento del personale e degli agenti.
Non dovrebbero invece essere iscritti tra i costi di ampliamento tutti quei costi che non sono direttamente connessi a una crescita dell’azienda.
Si pensi, a tal proposito, alle spese eventualmente sostenute per la riduzione del capitale sociale per perdite e la sua ricostituzione.
In tal caso, sebbene vi sia stato l’intervento di un notaio, non si può certo parlare di un ampliamento dell’attività aziendale, per cui non è da ritenersi corretta la capitalizzazione di tali costi.
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