Nel presente intervento si vuole invece sottolineare il “possibile” contrasto della richiamata norma interna (art. 110, co. 10 – 12 bis, D.P.R. 917/1986) con alcune disposizioni presenti nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Tale contrasto, ove esistente, renderebbe inapplicabile la norma antielusiva in esame.
È noto, infatti, che le disposizioni contenute in una convenzione internazionale, in quanto destinate a disciplinare in via esclusiva i rapporti tra i soggetti appartenenti ad uno Stato estero e i soggetti appartenenti allo Stato italiano, ovvero i rapporti tra uno Stato estero e l’Italia, assumano il carattere di specialità, quindi assumano rilievo rispetto alle normative nazionali quali, nel caso in esame, il Tuir.
Le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, che seguono il Modello OCSE 2010 contengono, generalmente, la c.d. clausola di non discriminazione la quale prevede che gli interessi, i canoni e altre spese pagati a un residente dell’altro Stato contraente, sono deducibili, per l’impresa erogante, alle stesse condizioni che sarebbero applicabili qualora la controparte fosse residente.
In sostanza, i requisiti per la deducibilità dei costi non possono essere più onerosi quando il beneficiario del pagamento è residente nell’altro Stato contraente.
La presenze della suddetta clausola renderebbe inapplicabile la norma ex art. 110, co. 10 – 12 bis, del Tuir.
Tuttavia, per far salvi gli effetti delle norme antielusive l’Italia ha inserito nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni clausole del tipo “tuttavia, le disposizioni dei paragrafi precedenti del presente articolo non pregiudicano l’applicazione delle disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale” (c.d. clausola restrittiva).
Dunque, solo la presenza della clausola di non discriminazione accompagnata dalla clausola restrittiva rende pacifica l’applicazione della normativa sull’indeducibilità dei costi black list. In caso di assenza della clausola restrittiva (ovviamente in presenza della clausola di non discriminazione) non si può ritenere legittima l’applicazione della normativa de quo.
Sulla questione si segnalano alcuni interessanti interventi della giurisprudenza di merito (Commissione Tributaria Provinciale di Milano sentenza 13 dicembre 2012) che hanno stabilito la prevalenza della norma convenzionale, con la conseguente piena deducibilità dei costi in questione.
Tra i Paesi black list rilevanti ai fini della normativa in esame, individuati dal D.M. 23 gennaio 2002, nove di essi hanno stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia. Si tratta dei seguenti Stati: Libano, Oman, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Malesia, Singapore, Ecuador, Mauritius, Svizzera.
Le convenzioni in vigore con Libano, Oman ed Emirati Arabi Uniti prevedono la presenza di clausole restrittive che rendono pacifica l’applicazione delle norme di cui all’articolo 110, co. 10 – 12 bis, del Tuir.
Le altre sei Convenzioni (Filippine, Malesia, Singapore, Ecuador, Mauritius, Svizzera) non prevedono invece la clausola restrittiva, rimanendo valido il principio di non discriminazione.
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