La CTR della Lombardia ha accolto l’appello prodotto da una società, in una controversia scaturita da un avviso di accertamento emesso dall’Ufficio per recuperare a tassazione costi imputabili a spese per attività di consulenza infragruppo, per mancanza del requisito dell’inerenza. Secondo il giudice dell’appello, la capogruppo, in virtù di un regolare contratto, aveva svolto attività di consulenza in favore della contribuente. Detta attività di consulenza aveva consentito alla medesima contribuente di effettuare un’operazione di acquisizione societaria con notevole incremento del proprio volume d’affari, circostanza che dimostrava l’inerenza, quindi la deducibilità dei costi in questione, anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non aveva consentito all’Ufficio la verifica analitica degli stessi rispetto all’attività d’impresa.
Ebbene, le argomentazioni con cui la CTR ha giustificato l’annullamento della ripresa fiscale non hanno retto all’esame della Suprema Corte. La Sezione Tributaria, infatti, ha cassato la sentenza impugnata, decidendo la causa nel merito a favore dell’Erario.
L’Ufficio ricorrente ha evidenziato come il giudice dell’appello abbia ravvisato l’inerenza dei costi, riconoscendone perciò la deducibilità, sulla scorta di fatture generiche circa le prestazioni eseguite, nonché di un contratto di assistenza tecnico commerciale di poche righe (appena 10). Non solo. Secondo l’Ufficio, la CTR non ha dato il giusto peso ai numerosi elementi raccolti nel corso della verifica fiscale, comprovanti il carattere elusivo dell’operazione.
Ebbene, i rilievi mossi dalla parte ricorrente hanno trovato terreno fertile presso le aule del Palazzaccio.
Affinché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, spiega la S.C., non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Il TUIR formula il cosiddetto principio di inerenza, cioè il principio della riferibilità dei costi che si intendono dedurre ai ricavi: siffatta riferibilità, però, non richiede la connessione comprovata per ogni molecola di costo quale partita negativa della produzione, essendo sufficiente la semplice contrapposizione economica teorica (cioè la cosiddetta latenza probabile degli stessi), avuto riguardo alla tipologia organizzativa del soggetto, che genera quindi partite passive deducibili se i costi riguardano l’area o il comparto di attività destinati, anche in futuro, a produrre partite di reddito imponibile.
Il costo, per essere portato in deduzione, dev’essere anche ben documentato e proporzionato al tipo di attività svolta. Quindi, oltre a provare l’inerenza, l’imprenditore è tenuto anche a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti, ove sia contestata dal Fisco la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni. In difetto di tale dimostrazione deve considerarsi legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi e all’oggetto dell’impresa.
Il descritto “decalogo” probatorio non è stato soddisfatto dalla CTR di Milano, che infatti ha riconosciuto l’esistenza dell’inerenza “ad onta – scrivono gli Ermellini – dalle motivate contestazioni fatte valere dall’amministrazione in relazione alla genericità della descrizione della prestazione recata dalla fattura (con la presente vi rimettiamo fattura per consulenza tecnico commerciale relativa al mese di […]), alla laconicità del contratto regolante il rapporto e all’ingente ammontare del costo portato in deduzione […]”.
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