Nonostante le promesse avanzate da esponenti politici nel corso di qualche convegno specialistico, e che tanta risonanza hanno avuto sulla stampa specializzata, non vi è traccia in Manovra 2018 di una disposizione che vada a mitigare il devastante impatto che sta esercitando la Comunicazione Periodica delle Liquidazioni IVA sulla tempistica del recupero delle somme dovute e non versate nei termini.
Andiamo ai fatti. Con l’introduzione della Comunicazione Dati delle Liquidazioni Periodiche IVA (per brevità LI.PE.) tutti i contribuenti sono tenuti, a partire dall’anno 2017, a trasmettere con cadenza trimestrale le risultanze delle liquidazioni IVA. Nella comunicazione, alquanto stringata, debbono essere indicate il totale delle operazioni attive e passive poste in essere nel periodo interessato (compilando tre moduli distinti in caso di contribuente tenuto alla liquidazione IVA mensile), l’IVA esigibile di periodo, l’IVA detraibili e tutti quegli ulteriori elementi che vanno a definire il credito o debito di periodo (credito periodo precedente, gestione del credito annuale, eventuali interessi dovuti in caso di liquidazione IVA trimestre, crediti di imposta, ecc.).
Insomma, il “cuore” della LI.PE. sta tutto nella determinazione del saldo di periodo, e le ragioni di questa impostazione hanno assunto via via maggiore chiarezza: la Comunicazione delle Liquidazioni altro non è che uno strumento per conoscere, con ampio anticipo rispetto al passato, la situazione creditoria o debitoria di un’azienda, consentendo all’Agenzia delle Entrate, nel caso di debito, di verificare celerissimamente se il versamento sia stato correttamente effettuato.
La prima trasmissione telematica effettuata, quella che aveva quale riferimento il primo trimestre 2017 (entro il 12 giugno scorso) ha costituito la prima occasione per incontrare, o meglio scontrarsi, con la nuova policy di recupero delle somme non versate. Infatti, a fronte di una LI.PE. che evidenziava un debito, a fronte del mancato riscontro con un versamento effettivo, i contribuenti hanno visto recapitarsi una lettera di compliance (tramite avviso PEC e rinvio al Cassetto Fiscale per la consultazione dell’avviso) già nello scorso mese di luglio. Nell’arco di due mesi (scarsi) il contribuente si è visto “avvisare” della mancata corrispondenza tra debiti e versamenti, con invito ad avvalersi del ravvedimento operoso per sanare la propria posizione (o far presente quegli elementi che giustificassero lo scostamento, per esempio dovuti ad un versamento effettuato, ma con codice tributo errato). Trascorsi altri due mesi, il contribuente che ancora non avesse regolarizzato la propria posizione si è visto recapitare un secondo avviso, di natura ben diversa dalla compliance. Un vero e proprio avviso bonario, spiccato ai sensi dell’articolo 54-bis del DPR 633/72. Una multa vera e propria, tanto per essere chiari, con tanto di sanzione già calcolata al 10% (in caso di pagamento nei trenta giorni), impossibilità di ravvedere e rischio di veder tramutare il tutto in vero e proprio ruolo, laddove l’inadempimento proseguisse (e così le sanzioni passano al 30%).
Ma non basta. L’accelerazione nei controlli dei versamenti eseguiti, che già aveva lasciato di stucco contribuenti e consulenti, ha subito un ulteriore incremento.
Con riferimento alla LI.PE. del secondo trimestre 2017, il cui termine di trasmissione è scaduto il 16 settembre scorso, non solo sono già pervenute le lettere di compliance, ma addirittura, in questi giorni, sono in corso le notifiche degli avvisi bonari, a mezzo PEC.
Facendo due conti, l’IVA non pagata avente scadenza 21 agosto 2017 (posto che la scadenza del 20 agosto, prevista a seguito della sospensione estiva, cadeva di domenica), è già avviso bonario, e pertanto non più ravvedibile, a metà novembre.
87 giorni, per la precisione. In questo modo viene di fatto precluso l’accesso non solo al ravvedimento “ordinario”, ovvero quello che prevede la riduzione della sanzione ad 1/8 del minimo se la regolarizzazione avviene entro il termine di presentazione della Dichiarazione IVA (che corrisponde ad una sanzione del 3,75%) – per non voler nemmeno ricordare il ravvedimento “lungo”, che ormai è, di fatto, storia – ma viene meno anche la possibilità di ravvedimento “breve”, ovvero quello che consente, regolarizzando l’omissione entro 90 giorni, di versare una sanzione ridotta ad 1/9 del minimo (pari al 3,33%).
Il risultato di questo meccanismo è che l’azienda che non sia riuscita a far fronte al versamento dell’IVA del secondo trimestre, avrà ora 30 giorni (dalla notifica dell’avviso bonario) per ottemperare (e pagherà già il 10% di sanzione). E laddove non riuscisse nuovamente a far fronte, l’importo sarà iscritto a ruolo, con sanzioni 30% e 60 giorni per pagare. Insomma, non avendo contezza precisa dei tempi di iscrizione a ruolo, è credibile valutare che entro il 28 febbraio 2018 le somme del ruolo saranno in scadenza. Sei/sette mesi al massimo, quindi, e oltre tutto con maggiorazione di sanzione piena al 30%.
Un carico veramente pesante da sopportare, che porta a rimarcare come la LI.PE. si sia rivelata come uno strumento sicuramente incisivo, ma che violenta la normativa sul ravvedimento, rendendolo di fatto inapplicabile alla quasi totalità delle situazioni.
Quello che operativamente occorrerà fare sarà di mutare mentalità, ponendo l’IVA in cima alla lista delle “cose da pagare”, quando le condizioni oggettive dell’azienda non consentano di rispettare tutti i termini di legge, posto che immaginare di portare avanti l’esborso IVA sta diventando esageratamente oneroso. Opportuno anche cercare di sfruttare al massimo la possibilità, concessa dalla norma, di richiedere la rateazione dell’importo dell’avviso bonario, per poter avere almeno un minimo di respiro.
Il tutto, sperando che le promesse avanzate (da soggetti qualificati) di rimediare a questa evidente forzatura – rendendo nuovamente applicabile il ravvedimento operoso nei tempi consueti – non cadano nel nulla.
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