La possibilità che un complesso di beni presenti i connotati per essere qualificato come azienda è rilevante soprattutto in riferimento ai profili impositivi indiretti.
Ai fini dell’analisi delle imposte indirette infatti:
– la cessione di un complesso di beni che non possiedono i requisiti d’azienda configurerà una cessione di beni soggetta – esistendone i requisiti di legge – a IVA;
– diversamente, la cessione di un complesso aziendale è un’operazione esclusa da IVA ma soggetta a imposta di registro proporzionale.
Ciò che s’intende analizzare nel presente intervento riguarda la possibilità che si possa parlare di cessione d’azienda anche qualora la finalità del cessionario è quella di utilizzare i beni che costituiscono l’azienda in modo disorganizzato, quindi senza svolgimento di alcuna attività d’impresa. La volontà del cessionario potrebbe essere, per esempio, quella di vendere singolarmente i beni che compongono l’azienda oppure utilizzare i suddetti beni in parte per lo svolgimento della propria attività e in parte destinarli alla vendita.
In sostanza, oggetto di analisi è la possibilità che il trasferimento di un’universalità di beni ad un soggetto passivo costituisce una condizione sufficiente a che l’operazione non sia sottoposta all’imposta sul valore aggiunto, indipendentemente dall’attività del soggetto passivo o indipendentemente dall’uso che questi faccia dei beni trasferiti.
La questione in esame è stata analizzata dall’Amministrazione Finanziaria nella risoluzione 550245 del 30 giugno 1990.
Nel richiamato documento di prassi l’Amministrazione Finanziaria, pronunciandosi in tema di alternatività IVA/registro in un caso di cessione di stabilimento industriale qualificabile come azienda ritenne che nella valutazione della fattispecie di cessione d’azienda “nessun peso possa essere attribuito […] alla destinazione assegnata da parte della società cessionaria ai cespiti acquisitati, né tantomeno alle finalità per cui l’operazione fu realizzata”. Ciò in quanto, al fine di determinare il trattamento tributario da riservare al negozio in discorso, occorre avere riguardo esclusivamente alla consistenza oggettiva del complesso dei beni alienati e stabilire se tali beni, considerato lo stato di conservazione e controllata la consistenza del vincolo funzionale, costituiscano o meno un’azienda, cioè un’organizzazione di beni potenzialmente idonea a realizzare un’attività d’impresa.
A parere dell’Amministrazione Finanziaria nessuna rilevanza assume la “destinazione” del complesso di beni da parte del cessionario; ciò che conta è che quel complesso di beni sia potenzialmente idonea a realizzare un’attività d’impresa.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria, nella sentenza del 27 novembre 2003, causa C-497/01 Zita Modes, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che il trattamento agevolativo riservato ai trasferimenti aziendali debba essere applicato nei casi in cui il beneficiario ha “l’intenzione di gestire l’azienda” – quindi svolgere un’attività economica – e non di “liquidare immediatamente l’attività interessata”.
In sostanza, affinché si possa parlare di cessione d’azienda da escludere dal campo di applicazione dell’IVA è necessario che il cessionario abbia l’intenzione di gestire l’azienda o la parte di impresa in tal modo trasferita e non semplicemente di liquidare immediatamente l’attività interessata nonché, eventualmente, vendere lo stock.
Mentre dunque per l’Amministrazione Finanziaria ciò che conta per qualificare un’operazione come cessione d’azienda da escludere dal campo di applicazione dell’IVA è l’organizzazione di beni potenzialmente idonea a realizzare un’attività d’impresa, nella visione dei giudici europei tali elementi non sono sufficienti, ma è richiesto anche un requisito soggettivo ovvero che il cessionario utilizzi i suddetti beni per lo svolgimento di un’attività d’impresa.
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