I dati attinti dalle dichiarazioni dei redditi del cedente sono utilizzabili per il calcolo dell’avviamento
La sentenza. È quanto si ricava dalla sentenza 23 aprile 2014 n. 9149 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.
La vicenda. Gli Ermellini hanno respinto il ricorso proposto nell’interesse di una SRL nell’ambito una controversia riguardante un avviso di liquidazione dell’imposta di registro dovuta in relazione a una cessione di azienda.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, le singole operazioni di trasferimento intervenute tra la contribuente e altra società, poi fallita, comprendeva un insieme di beni strumentali, idonei a integrare una cessione d’azienda, esclusa dal campo IVA.
Ebbene, nel caso di specie, l’Ufficio ha calcolato il valore tassabile in riferimento ai redditi imponibili e al volume d’affari dichiarati dalla cedente nel triennio precedente. Tale modus operandi non ha affatto convinto la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, che ha quindi accolto l’impugnazione della contribuente. Di diverso avviso la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria che, in riforma della decisione di prime cure, ha avvalorato la legittimità dell’impugnato avviso di liquidazione.
La S.C. Investita dell’esame della controversia, la Suprema Corte ha reso definitivo il verdetto pro-fisco, avendo ritenuto, tra l’altro, priva di autosufficienza la doglianza secondo cui l’applicazione del criterio di calcolo dell’avviamento sarebbe avvenuta in modo illegittimo in relazione al triennio considerato. In ogni caso la S.C. ha ritenuto congruamente motivata sul punto la decisione gravata: “La CTR – scrivono gli Ermellini – ha ritenuto corretto il valore dell’avviamento determinato dall’Ufficio in riferimento ai dati (reddito imponibile e volume d’affari) ritenuti attendibili, perché mutuati da quelli dichiarati dalla stessa cedente, e tale motivazione, del tutto congrua, è immune alle critiche che le vengono rivolte sotto il profilo motivazionale, con le quali prospettandosi la bontà dell’utilizzo di altri elementi valutativi, si tende ad un nuovo esame di merito, inammissibile in questa sede di legittimità”.
I giudici del Palazzaccio condannano la contribuente al pagamento delle spese di lite liquidate in oltre duemila euro.
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