Concorre nel reato di bancarotta il presidente del collegio sindacale che non ha vigilato sugli atti di gestione e che ha agito in combutta con gli amministratori per neutralizzare le azioni dell’organo di controllo.
È quanto si ricava dalla lunga sentenza 18 giugno 2014, n. 26399, della Corte di Cassazione – Quinta Sezione Penale.
Nel confermare il verdetto di colpevolezza pronunciato dalla Corte d’appello di Milano nei confronti del presidente del collegio sindacale di una SPA fallita, i giudici del Palazzaccio si sono soffermati sulla problematica del titolo di responsabilità dei sindaci nel reato di bancarotta fraudolenta “impropria” di cui all’articolo 223 L.fall. chiarendo che esso notoriamente risiede nella violazione dei doveri di controllo e di vigilanza istituzionalmente immanenti nell’incarico di sindaco. Doveri che non sono però limitati al mero controllo contabile, ma che devono estendersi anche al contenuto della gestione.
Tuttavia, precisano i supremi giudici, l’ipotesi del coinvolgimento dei sindaci nel reato non può fondarsi unicamente sulla loro posizione di garanzia né discendere semplicemente dal mancato esercizio dei doveri di controllo, postulando l’esistenza di elementi sintomatici, “dotati del necessario spessore indiziario”, dalla loro partecipazione, in qualsiasi modo, all’attività degli amministratori oppure di valide ragioni che portino a ritenere che l’omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza causale nella commissione del reato da parte degli amministratori.
Ebbene, ad avviso della Quinta Sezione Penale, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi i quali sono stati più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
In particolare il giudice di merito ha indicato puntuali elementi sintomatici in forza dei quali il dato conclamato e incontroverso in processo, vale a dire l’omissione del benché minimo controllo da parte dell’imputato – dunque il mancato adempimento, da parte sua, dei poteri/doveri di vigilanza, il cui esercizio sarebbe valso a impedire le condotte distrattive degli amministratori – è fuoriuscito dalla dimensione meramente colposa, “per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione d’illiceità da parte degli amministratori”.
Quali elementi sintomatici della responsabilità dell’imputato, il giudice di merito ha anche segnalato l’esistenza di intese collusive con gli amministratori volte ad addomesticare l’organo di controllo, l’accensione di un conto corrente in favore della società fallita proprio presso la banca di cui l’imputato era stato presidente per diversi anni, nonché “la mancata partecipazione alle riunioni del collegio sindacale, organizzate da un sindaco dimissionario, al fine di boicottarne possibili iniziative […]”. Tutti elementi questi che per i giudici di legittimità sono stati “motivatamente” ritenuti funzionali all’ipotesi accusatoria, secondo cui l’omissione di ogni forma di controllo è stata intesa “a favorire lo svolgimento delle illecite attività distruttive poste in essere dagli amministratori”.
In conclusione, il ricorso dell’imputato è stato rigettato con relativa condanna al pagamento delle spese processuali.
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