L’A.F. non è vincolata a dover procedere alla riduzione della propria pretesa necessariamente e unicamente nel giudizio di opposizione all’iniziale atto impositivo emesso per maggiore importo.
È quanto emerge dalla sentenza 17 ottobre 2014 n. 22019 con cui la Sezione Tributaria della Cassazione ha respinto il ricorso del titolare di una ditta individuale, colpito da un accertamento ai fini IVA.
Nelle motivazioni si legge che, nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, è legittimo il ritiro di un precedente atto, il quale può avvenire in due diverse forme: – per “contratto”, ossia l’atto di secondo grado assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo; – per riforma, ossia l’atto di secondo grado non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso.
Entrambi i modi del “ritiro” sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico. Il che distingue l’atto di ritiro da quello cosiddetto integrativo, che è regolato dall’articolo 57 del D.P.R. n. 633/72, ed è, invece, emesso sulla scorta della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. L’atto cosiddetto integrativo, infatti, “è un nuovo atto sul medesimo rapporto su cui è intervenuto quello precedente, perché in relazione a un nuovo oggetto, non assunto a proprio elemento dal primo, dispone un nuovo contenuto”.
Perciò il principio secondo cui, fino alla scadenza del termine per l’accertamento, questo può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi fondati sulla sopravvenuta conoscenza di altri elementi i quali devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, dall’Ufficio delle imposte, vale soltanto per l’integrazione o la modificazione in aumento, rispetto all’accertamento originario, e non anche per quelle in diminuzione. Soltanto le prime integrano una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria, mentre le seconde si risolvono in una mera riduzione della pretesa originaria, quindi in una revoca parziale del relativo avviso.
Ne deriva che, mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento (specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario) il quale si aggiunge a quello originario, oppure lo sostituisce, l’integrazione o la modificazione in diminuzione, non integrando una “nuova” pretesa tributaria, ma soltanto una pretesa “minore”, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari.
Dunque l’A.F. non è affatto vincolata (come ha sostenuto la parte ricorrente) a dover procedere alla riduzione della propria pretesa necessariamente e unicamente nel giudizio di opposizione all’iniziale atto impositivo emesso per maggiore importo.
La Corte pertanto ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente, condannandolo alle spese.
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