Sotto il profilo fiscale, l’utile conseguito dall’associato nell’ambito di un contratto di associazione in partecipazione è considerato reddito di lavoro autonomo o reddito di capitale, in base alla natura del suo apporto; più in dettaglio:
• qualora l’apporto sia costituito da solo lavoro, il reddito percepito dall’associato ha natura di reddito di lavoro autonomo e la relativa remunerazione è deducibile dal reddito d’impresa dell’associante;
• qualora, di converso, l’apporto sia diverso da opere e servizi, il reddito dell’associato ha natura di reddito di capitale e la relativa remunerazione è indeducibile dal reddito d’impresa dell’associante.
Va tuttavia precisato che, ove l’associante emetta titoli o strumenti finanziari partecipativi a fronte dell’apporto dell’associato, il reddito di quest’ultimo si considera sempre di capitale, indipendentemente dalla natura dell’apporto (lavoro, capitale o misto); di conseguenza, la relativa remunerazione è sempre indeducibile in capo all’associante (cfr. Circolare Agenzia delle Entrate 26/E del 16.6.2004, § 2.3).
La qualificazione degli apporti. Sotto il profilo normativo, occorre fare riferimento, da un lato, all’art. 53 co. 2 lett. c) del TUIR, che ricomprende tra i redditi di lavoro autonomo “non professionale” i proventi dei contratti per i quali l’apporto “è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro“; dall’altro, al combinato disposto dell’art. 47 co. 2 e dell’art. 109 co. 9 lett. b) del TUIR, che prevede, invece, l’assimilazione al regime dei dividendi per i proventi dei contratti “allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi“.
Nella Circolare 26/E del 2004 (§ 2.3), secondo l’Agenzia, sono assimilati ai contratti nei quali l’apporto è rappresentato da solo lavoro quelli nei quali è prevista la partecipazione agli utili e alle perdite, ma senza il corrispettivo di alcun apporto (c.d. “cointeressenza propria“). In tali casi, di conseguenza, la remunerazione è integralmente deducibile dal reddito dell’associante.
Reddito da apporto di solo lavoro: criterio di cassa o di competenza. Come si è visto, il reddito dell’associato che apporta esclusivamente opere o servizi ha natura di reddito di lavoro autonomo “non professionale”. In tal caso, ai sensi dell’art. 54 co. 8 del TUIR, il reddito soggetto a tassazione è rappresentato dall’intero ammontare percepito e va dichiarato nel periodo d’imposta in cui è percepito (secondo il criterio di cassa). Non sono pertanto ammessi in deduzione eventuali costi sostenuti dall’associato, quali quelli, ad esempio, corrisposti a collaboratori coordinati e continuativi (cfr. circ. 12.6.2002 n. 50/E, § 1.1). All’associato non viene, peraltro, riconosciuta alcuna deduzione forfetaria né detrazione (come previsto, invece, per altre tipologie di redditi di lavoro autonomo non professionali).
Se l’associato effettua l’apporto nell’esercizio della propria impresa (in forma individuale o collettiva), opera il principio di attrazione dei proventi percepiti nell’ambito del reddito d’impresa, come componenti positivi di reddito e, per l’imputazione, vale il criterio di competenza. Va tuttavia precisato che, mentre per le società (di persone e di capitali) tale presunzione è assoluta, per l’associato imprenditore individuale il reddito continuerebbe a mantenere natura di reddito di lavoro autonomo, se il contratto è riferibile alla sfera non imprenditoriale della persona.
La deducibilità delle remunerazioni per l’associante. Sotto il profilo dell’associante che eroga le remunerazioni all’associato (nei contratti con apporto solo di opere e servizi), ai sensi dell’art. 95 co. 6 del TUIR, dette remunerazioni risultano integralmente deducibili nell’ambito della determinazione del reddito d’impresa, secondo il criterio di competenza e indipendentemente dall’imputazione a conto economico (anche se, in altre parole, l’associante non ha iscritto la remunerazione a Conto economico, ma la rileva in sede di ripartizione dell’utile di esercizio).
In merito alle condizioni per poter operare la deducibilità delle erogazioni a beneficio dell’associato, le istruzioni ai modelli di dichiarazione attuali non riportano più le condizioni affermate, da ultimo, dal mod. Unico 2004 PF, fascicolo 3, Appendice.
Ci si chiede pertanto se possano essere ancora considerati attuali i requisiti ivi fissati, in base ai quali la deducibilità delle quote di partecipazione agli utili spettanti agli associati in partecipazione è consentita, agli effetti fiscali, solo a condizione (cfr. anche circ. 12.6.2002, n. 50/E, § 1.2):
– che il contratto di associazione in partecipazione risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero da scrittura privata registrata;
– che il contratto contenga la specificazione dell’apporto e, qualora questo sia costituito da denaro e altri valori, contenga elementi certi e precisi comprovanti l’avvenuto apporto;
– che, qualora l’apporto sia costituito da una prestazione di lavoro, gli associati non siano familiari dell’associante, ai sensi dell’art. 62 co. 2 (ora art. 60 co. 1) del TUIR;
– che il contratto non consista nell’apporto rappresentato dall’emissione, da parte dell’associante, di titoli o certificati in serie o di massa, i cui proventi sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta (c.d. “titoli atipici”).
La tesi dell’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano. Secondo quanto sostenuto dall’Agenzia nella circ. 50/E del 2002, pertanto, se il contratto di associazione in partecipazione (con apporto di solo lavoro) è privo di data certa, la remunerazione spettante all’associato non concorrerebbe alla formazione del reddito di quest’ultimo né sarebbe deducibile in capo all’associante.
In senso contrario a tale linea interpretativa, si pone la norma di comportamento dell’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano -ADC 1.10.2003 n. 153, secondo la quale tali condizioni non si desumono da alcuna norma, per cui l’effettività del rapporto può essere dimostrata anche con altri elementi di prova, indipendentemente dall’esistenza di un contratto scritto avente data certa.
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