È quanto si ricava leggendo la sentenza n. 12276/15 della Sezione Tributaria della Cassazione, che ha accolto un ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Dovrà rivedere il proprio verdetto la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata che ha accolto, seppure parzialmente, l’impugnazione avente a oggetto un avviso di accertamento a fini IVA spiccato nei confronti di una Srl, a seguito dell’esame della contabilità aziendale e di indagini finanziarie sui conti degli amministratori e dei loro familiari.
Per quanto qui interessa, la Suprema Corte ha evidenziato in motivazione che la presunzione stabilita dall’art. 51 n. 2 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai successivi artt. 54 e 55 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono a operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti.
Pertanto, la presunzione in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere vinta dal contribuente solo qualora il medesimo offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, oppure che questi non si riferiscono a operazioni imponibili.
Tuttavia a tal fine non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche causali dell’affluire di somme sui conti correnti, essendo, per contro, necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, oppure della loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse (ex multis, Cass. n. 21303/13).
Se il soggetto sottoposto a verifica è una società di capitali caratterizzata da una ristretta compagine sociale, come nel caso di specie, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci – perfino dei loro familiari – debbano ascriversi, in difetto di specifiche e analitiche dimostrazioni di segno contrario, allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. n. 26829/14, tra le altre).
Alla luce di questi principi, la Suprema Corte ha ritenuto legittima l’imputazione alla società contribuente delle movimentazioni bancarie, per cifre ingenti, riscontrate sui conti dell’amministratore e dei suoi familiari, “non risultando forniti da questi ultimi elementi di prova di segno contrario, idonei a superare la presunzione legale suindicata”.
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