In tema di accertamento bancario, la presunzione d’imputazione dei prelevamenti bancari a reddito imponibile non può operare se il contribuente fornisce il nome del beneficiario, oppure dimostra che il movimento è stato oggetto di rilevazione in contabilità. A chiarirlo è la Commissione Tributaria Provinciale di Cremona con la sentenza n. 103/02/2014.
La pronuncia prende le mosse dalle disposizioni dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, norma che disciplina la possibilità per l’Agenzia delle Entrate e per la Guardia di Finanza di procedere a indagini di tipo bancario e finanziario nei confronti dei contribuenti, al fine di raccogliere dati e informazioni utili alla stesura dell’avviso di rettifica.
La norma in esame, nella parte che qui interessa, prevede: “I singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e art. 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti dalle scritture contabili“.
I prelevamenti e i versamenti non giustificati danno dunque luogo a una presunzione legale “relativa” in forza della quale le somme prelevate o versate si presumono compensi/ricavi non dichiarati.
Con particolare riguardo ai prelevamenti, l’articolo 32 sancisce che gli stessi vengono contabilizzati come ricavi solo quando non sia stato indicato il beneficiario. Il dato scriminante è quindi l’identificazione di colui che ha ricevuto il pagamento. Ebbene, ad avviso della CTP di Cremona, per consentire all’Ufficio finanziario di operare la presunzione, occorre la doppia omissione da parte del contribuente, “nel senso che, se il contribuente ha indicato il nome del beneficiario dei prelevamenti, l’Ufficio non potrebbe operare la presunzione solo perché l’operazione non sarebbe stata annotata nelle scritture contabili”. Ne deriva che il contribuente può fornire la prova liberatoria in due modi (tra loro alternativi): indicando il beneficiario oppure dimostrando che il movimento è stato oggetto di rilevazione in contabilità. Se è indicato il beneficiario dei prelevamenti, le somme vanno dedotte dall’importo accertato.
Con la sentenza n. 225 del 2005, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui stabilisce che i prelevamenti annotati nei conti bancari sono posti come ricavi a base delle rettifiche e accertamenti dell’Amministrazione finanziaria, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario. La norma infatti, quanto alla destinazione dei prelievi non risultanti dalle scritture contabili, si risolve per la Consulta in una presunzione “iuris tantum”, ossia suscettibile di prova contraria, attraverso l’indicazione del beneficiario dei prelievi stessi.
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