Il legislatore Iva, con l’intento di adeguare le disposizioni nazionali a quelle unionali, ha in passato modificato l’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972. Sulla base del testo normativo allora formulato, che avrebbe dovuto entrare in vigore con decorrenza dal 1° gennaio 2017, il cedente o prestatore avrebbe potuto emettere nota di variazione in caso di mancato pagamento della prestazione, al momento di apertura del fallimento senza la necessità di attendere la chiusura della procedura. La medesima disposizione sarebbe stata applicabile anche a seguito di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 – bis della legge fallimentare, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’art. 67, lett. d), della medesima legge.
Secondo il testo della disposizione in rassegna il cessionario che riceveva la nota di accredito non aveva né l’obbligo di registrazione del documento, né assumeva la qualifica di debitore dell’Iva nei confronti dell’erario (art. 26, comma 5). Tuttavia la medesima disposizione non risultava applicabile agli accordi e ai piani di ristrutturazione che, secondo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate non possono essere considerate procedure (cfr Circ. n. 12/E del 2016, risposta 13.2).
Queste disposizioni non sono mai entrate in vigore in quanto abrogate prima del 1° gennaio 2017, cioè anteriormente alla loro decorrenza. La modifica normativa è intervenuta per effetto della legge di Bilancio 2017. Conseguentemente, in considerazione del’ultimo intervento del legislatore, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per l’emissione delle nota di variazione, il cedente o prestatore, che non hanno incassato il relativo credito, devono attendere la chiusura della procedura concorsuale. Con riferimento al concordato si dovrà attendere il momento in cui il debitore adempie alla proposta, pagando i creditori.
In realtà, nonostante la mancata entrata in vigore della disposizione che prevedeva, per la procedura, l’inesistenza degli obblighi di versamento dell’Iva sulle note di variazioni ricevute, non sorge alcun debito tributario nei confronti dell’erario. La circolare n. 8/E del 2017 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito puntualmente tale fattispecie. Secondo il documento di prassi citato gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nei registri Iva la nota di variazione (in diminuzione) ricevuta con la corrispondente variazione in aumento dell’Iva.
Tuttavia, tale adempimento non determina l’inclusione del credito Iva vantato dall’Amministrazione (a seguito della rettifica) nel riparto finale, oramai definitivo. La registrazione consente di evidenziare il credito nei confronti del fallito tornato in bonis. Pertanto non sussistendo il debito Iva a carico della procedura, il curatore fallimentare non risulta obbligato a nessun altro adempimento. La circolare ha così richiamato la soluzione e le indicazioni fornite con la risoluzione n. 155/E del 2001.
La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate in occasione del Telefisco 2018 non risolve, però, le incertezze riguardanti gli accordi di ristrutturazione ed i piani attestati, nei quali l’impresa non è sottoposta a procedura concorsuale. Dopo aver ricevuto la nota di variazione si prosegue l’attività senza alcuna interruzione. Pertanto l’impresa è comunque in bonis, ma secondo le indicazioni sembrerebbe che il debito Iva, nonostante la registrazione della nota di variazione, sia comunque congelato. Non è chiaro, però, in quale momento debba essere versata l’Iva nelle casse dello Stato. Si può ad esempio ipotizzare che tale debito sorga dopo aver dato integrale esecuzione agli accordi omologati o a quelli conclusi con il piano attestato. Anche se tale soluzione fosse ritenuta corretta è necessario comprendere quale sia la scadenza entro cui effettuare il relativo versamento.
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