La procedura di collaborazione volontaria è finalizzata all’emersione di investimenti e attività finanziarie illecitamente detenute all’estero, ovvero anche all’emersione dell’evasione commessa nelle precedenti annualità d’imposta non ancora decadute ai fini accertativi (in sostanza, l’anno 2013 e precedenti); è verosimile, pertanto, che il professionista incaricato dell’assistenza al contribuente che intende accedervi, possa venire a conoscenza anche di fatti costituenti violazioni penali commesse dal cliente stesso sotto il profilo tributario, ma anche violazioni ad altre discipline (reati societari, reati fallimentari, reati comuni), potenziali reati presupposto dei delitti di riciclaggio o reimpiego di capitali di provenienza illecita.
La copertura penale. In realtà la stessa legge individua una precisa copertura penale legata alla collaborazione volontaria; ai sensi dell’art. 5-quinquies del DL 167/1990; infatti, per chi presta la collaborazione volontaria (limitatamente alle condotte oggetto della medesima procedura) è esclusa la punibilità:
a)per i delitti di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000;
b)per le condotte previste dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a).
Inoltre, limitatamente alle attività oggetto di collaborazione volontaria, le condotte previste dall’articolo 648-ter.1 c.p. (autoriciclaggio) non sono punibili se commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a) sino alla data del 30 novembre 2015, ovvero sino alla data del 30 dicembre 2015 in presenza di integrazione dell’istanza o di presentazione dei documenti e delle informazioni ulteriori (disposizione modificata dall’art. 2, comma 1 lett. b) del DL 30/09/2015, n. 153).
La copertura amministrativa. Diversamente da quanto succede sul fronte penale, non sussiste una copertura per le violazioni amministrative commesse in relazione alle condotte oggetto di voluntary; per alcune di esse (si pensi alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale) sono previste rilevanti riduzioni sanzionatorie; per altre, invece, le sanzioni si applicano normalmente, fruendo eventualmente delle riduzioni concesse dai vari istituti deflattivi del contenzioso.
Quanto al rapporto esistente tra procedura di collaborazione volontaria e gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 231/2007, la lettera b-bis) del comma 1 dell’art. 5-quinquies (inserita dall’art. 2, comma 1 lett. b) del DL 30/09/2015, n. 153), prevede espressamente l’applicazione delle disposizioni in materia antiriciclaggio, ad eccezione dell’art. 58, comma 6, del medesimo D.Lgs. n. 231/2007.
Tale ultima disposizione punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento al 40 per cento del saldo, la violazione del divieto sancito dall’art. 50 comma 2, concernente l’utilizzo, in qualunque forma, di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri.
Gli obblighi antiriciclaggio. La particolare natura del procedimento di collaborazione volontaria (che si sostanzia in un’autodenuncia del cliente per violazioni di vario genere), unita alla piena applicabilità delle disposizioni in materia antiriciclaggio, obbligano il professionista ad interrogarsi sulle responsabilità che scaturiscono nei suoi confronti nel momento in cui assiste il cliente nella predisposizione della documentazione da inviare ai fini della procedura in esame, soprattutto nel momento in cui prende cognizione anche di illeciti penali precedentemente commessi dal cliente stesso.
Atteso il richiamato dato normativo (art. 5-quinquies, comma 1, lett. b-bis del D.Lgs. n. 231/2007), il professionista, nel momento in cui accetta l’incarico di assistenza nella procedura di voluntary disclosure, deve almeno assolvere gli obblighi di adeguata verifica di cui agli artt. 16 e ss. del D.Lgs. n. 231/2007 e gli obblighi di registrazione e conservazione della documentazione utilizzata di cui agli artt. 36 e ss. del medesimo decreto.
In merito all’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, occorre fare riferimento al successivo art. 41, in virtù del quale il professionista è tenuto a trasmettere detta segnalazione quando, tra l’altro, sa, sospetta o ha motivi ragionevoli per sospettare che siano state compiute dal proprio cliente operazioni di riciclaggio.
Quanto al termine “riciclaggio” utilizzato dalla disposizione in commento, occorre precisare che non si deve fare riferimento alla concezione del delitto come definito dal codice penale (cfr. artt. 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 c.p.), ma al concetto di riciclaggio di derivazione comunitaria, nell’accezione che il legislatore ha formalizzato nell’art. 2 del decreto in commento. Tale ultima definizione di “riciclaggio sotto il profilo amministrativo”, molto più ampia rispetto a quella penale, contempla tra le ipotesi da segnalare anche la conversione, il trasferimento o l’utilizzo di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa, ove per attività criminosa deve intendersi ogni fattispecie di natura penale, sia essa di natura delittuosa (dolosa o colposa), ovvero di natura contravvenzionale.
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