Ognuna delle sentenze citate ripropone delle criticità e difficoltà che già più volte i giudici di legittimità hanno evidenziato, derivanti soprattutto da una superfetazione normativa rapsodica.
Nella numero 4376/2017 i giudici affermano chiaramente che: “la cartella di pagamento non è un atto impositivo ma è un atto dell’Agente della riscossione ed è predisposta secondo un modello approvato con D. M. Finanze ai sensi dell’art. 25, comma secondo, del DPR n. 602/73”.
Le imprecisioni contenute in questa frase sono numerose.
In primo luogo, l’affermazione lapidaria che la cartella di pagamento non è un atto impositivo (in linea con Cass. n. 9224/2011) non è completamente condivisibile e non è condivisa nemmeno in seno alla Cassazione stessa (cfr., tra le altre, Cass. nn. 8553/2016). La natura della cartella esattiva, difatti, è variabile a seconda che essa sia preceduta da un atto di accertamento o meno: nel primo caso non è un atto impositivo ma è certamente un atto amministrativo, che poi possa essere qualificato quale provvedimento amministrativo, questo è un altro problema che involge l’applicabilità, alla cartella, della L. n. 241/1990 e, in particolare dell’art. 3, in cui è stato previsto che qualsiasi provvedimento deve essere motivato; nel secondo caso, invece – che si realizza principalmente qualora il contribuente sia stato assoggettato ai controlli cartolari ex D. P. R. n. 600/1973, artt. 36-bis e 36-ter -, difficilmente essa non è qualificabile quale atto impositivo, in quanto è il primo atto attraverso il quale il contribuente perviene a conoscenza della sua presunta posizione debitoria.
In secondo luogo il modello della cartella di pagamento non è stato predisposto con D. M. Finanze, ma con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 2012/100148, successivamente modificato con i Provv. nn. 2013/27980 e 47595/2014. Il D. M. di cui in sentenza è, probabilmente il n. 321/1999, in cui è stato stabilito il contenuto minimo della cartella, ossia quel contenuto che, qualora non sia presente, dovrebbe ingenerare l’inesistenza della stessa (cfr. Cass. nn 9583/2013 e 11139/2014).
Nella sentenza n. 9799/2017, avente a oggetto una presunta carenza motivazionale di una cartella perché mancante dell’indicazione delle modalità di calcolo degli interessi (tasso e decorrenza) dovuti dal contribuente si ricavano due condivisibili principi.
Primo: la cartella di pagamento è un provvedimento amministrativo, per cui, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241/1990, essa deve essere sempre congruamente motivata (cfr. Ae Circ. n.16/E/2008, C. Cost. nn. 221/2009, 58/2009, 221/2009, Cass. nn. 10082/2010 e 2373/2013) e, secondo, poiché essa non era stata preceduta da alcun atto impositivo, il vizio di motivazione genera la nullità della stessa. In questa maniera parrebbe confermato a contrario che qualora, invece essa fosse stata preceduta da un atto prodromico, il vizio in questione avrebbe causato esclusivamente una irregolarità della stessa (cfr. Cass. nn. 26330/2009, 4826/2014, 8934/2014).
Si ravvisa in questa affermazione la seguente contraddittorietà: o alla cartella si applica la normativa sui provvedimenti amministrativi (come dovrebbe essere, anche alla luce di pronunciamenti della C. Cost.), e pertanto essa deve essere sempre e comunque motivata, o si applica quanto previsto dalla Statuto del contribuente (L. n. 212/2000), art. 7, in ordine all’alternanza del vizio tra irregolarità e nullità qualora essa sia o meno preceduta da altro atto impositivo.
Ancora una volta, purtroppo, vi è da constatare che la certezza del diritto, in particolare nelle materie tributarie, è ancora lontana da raggiungere.
Una soluzione potrebbe essere, semplicemente, quella che: se non sono rispettate le imposizioni previste dal D. M. n. 321/1999, si genera l’inesistenza della cartella; mentre, indipendentemente da qualsiasi altro fattore, se non sono rispettate le previsioni legislative (L. n. 241/1990, Statuto del Contribuente, D. P. R. n. 602/1973, D. L. n. 248/2007 – tutte le normative che occorre considerare per avere un quadro completo del contenuto della cartella di pagamento), deve essere dichiarata la nullità della stessa.
Solo un dubbio genera questa soluzione (che permane anche qualora non la si voglia adottare, mantenendo l’oscillazione del vizio tra irregolarità e nullità): com’è possibile che norme di rango inferiore possano risultare più cogenti di norme di rango superiore?
Nel caso della cartella di pagamento, infatti, la violazione di quanto previsto nel D. M. genererebbe l’inesistenza dell’atto; mentre la trasgressione delle norma con forza di legge causerebbe la nullità dello stesso.
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