Se il contribuente ha partecipato al contraddittorio endoprocedimentale dimostrando che il calo del fatturato è dovuto alla perdurante crisi economica, lo scostamento del 21% dei maggiori ricavi contestati rispetto al dichiarato non legittima la ripresa fiscale.
È quanto emerge dalla sentenza 10 novembre 2015, n. 22946, della Corte di Cassazione (Sez. 6 civ. T).
La CTR del Lazio (Latina) annullava l’avviso di accertamento per maggiori imposte emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una ditta di autotrasporti. L’Ufficio aveva proceduto alla rettifica del reddito imponibile sulla base delle risultanze dello studio di settore; tuttavia, ad avviso del giudice dell’appello, i maggiori ricavi contestati rappresentavano solamente il 21% come scostamento rispetto al dichiarato, quindi una misura che non poteva essere qualificata come incongruenza grave ex art. 62 sexies D.L. n. 331/93, con conseguente illegittimità dell’accertamento. A ciò si andava ad aggiungere la carenza di motivazione dell’atto impugnato, posto che in esso non si dava adeguatamente conto dei rilievi formulati dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale.
Ebbene, la Suprema Corte ha confermato la decisione della CTR di Latina respingendo, per l’effetto, l’impugnazione proposta dalla difesa erariale.
Il tema della grave incongruenza, ha osservato la Suprema Corte, appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” e incrementa il significato presuntivo se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori e avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico-presuntivo. Si aggiunga che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. n. 26843/2014).
Ora, se da un lato la Suprema Corte ha ritenuto erronea l’affermazione della CTR, secondo cui si potrebbe parlare di grave incongruenza solamente quando la percentuale tra il dichiarato e l’accertamento si attesti sopra il 25-30%, dall’altro lato il collegio di legittimità ha riconosciuto l’esistenza di una falla nel procedimento adottato dall’Ufficio resistente. La CTR, infatti, ha rilevato che il contribuente aveva ottemperato all’invito al contraddittorio fornendo motivazioni che sono state ignorate dall’Ufficio senza argomentare circa l’idoneità dei parametri applicati “in una fattispecie concernente una attività in crisi da anni con conseguente limitazione dei ricavi rispetto a quanto previsto dallo studio di settore”.La CTR ha ritenuto altresì illegittimo l’avviso di accertamento “perché mancante delle motivazioni specifiche che avevano determinato nell’ufficio la decisione di disattendere i chiarimenti forniti dal contribuente e la documentazione fornita e depositata in atti”.
In conclusione, il ricorso di legittimità del fisco è stato rigettato. Nulla sulle spese.
wordpress theme by initheme.com