Uno dei temi più discussi che si presentano nel contesto degli accessi finalizzati all’apertura di verifiche fiscali, è quello legato ai profili di legittimità dell’acquisizione, da parte dei verificatori, dei documenti conservati dal contribuente in formato elettronico e, in tale contesto, delle comunicazioni via e-mail dal medesimo spedite e ricevute. Di norma, dopo l’accesso fiscale, il contribuente viene invitato dal personale ispettivo (sia esso appartenente alla Guardia di Finanza, all’Agenzia delle Entrate, ovvero all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) ad esibire i libri, registri, scritture e documenti attinenti all’attività esercitata, limitatamente ai periodi d’imposta ed ai tributi oggetto del controllo.
All’esito di tale richiesta e a prescindere dal comportamento collaborativo del contribuente verificato, i verificatori intervenuti eseguono di norma delle ricerche all’interno dei locali dell’azienda o dello studio professionale, ricerche che investono anche il contenuto degli archivi informatici del contribuente, ivi comprese le caselle di posta elettronica aziendali.
La recente sentenza n. 117/1/2016 della Ctp di Trento offre lo spunto per ritornare sul tema dell’acquisizione e della lettura proprio della corrispondenza elettronica nell’ambito degli accessi fiscali.
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