Indagini finanziarie – Nel nostro ordinamento le indagini finanziarie sono disciplinate dall’art. 32, D.P.R. 600/1973, in materia di imposte sui redditi e dall’art. 51, D.P.R. 633/1972, in materia di Iva. Ai sensi del punto 2), del co. 1, dell’art. 32, D.P.R. 600/1973, i dati così acquisiti “(…) sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario, e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni“.
Presunzione legale – Il Legislatore ha posto sostanzialmente una presunzione legale relativa a favore del Fisco, secondo cui è il contribuente a dover dimostrare, ad esempio, che le somme transitate sul proprio conto corrente e riprese a tassazione da parte dell’Ufficio non dovevano concorrere alla formazione del reddito di periodo. Come però affermato dalla Corte di Cassazione, con la Sentenza 27.9.2011, n. 19692, mentre l’Ufficio può desumere per qualsiasi contribuente che i versamenti operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscono reddito, così non è per i prelevamenti.
Tipologia di reddito – Per questi ultimi, infatti, la presunzione di maggior reddito può operare solo per i possessori di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, non potendosi in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali le spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti.
Reddito complessivo – Il ragionamento fatto dalla Corte è in linea con il dettato normativo del citato art. 32; mentre infatti la prima parte del punto 2) prevede che la rettifica possa essere effettuata ai sensi degli artt. 38, 39, 40 e 41, quindi non solo nell’ambito del reddito imprenditoriale/professionale, ma anche nell’ambito del reddito complessivo dichiarato dal contribuente, la seconda parte, facendo riferimento ai soli ricavi e compensi, relega la possibile rettifica ai soli possessori di reddito d’impresa, arte o professione.
Cassazione – In altre occasione la Cassazione si è, però, limitata ad affermare in via generale che l’utilizzo dei dati acquisiti presso le aziende di credito non è subordinato alla prova che il contribuente eserciti un’attività di lavoro autonomo o d’impresa (sentenze 9573 e 23690 del 2007, 21132 del 2011, 3263 del 2012) e che è possibile rettificare in base a essi le dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente (sentenza 22514 e ordinanza 25120 del 2013).
Sentenze 22514/2013 e 25120/2013 – In particolare con la sentenza 22514/2013 e l’ordinanza 25120/2013 la Cassazione ha sancito che l’accertamento originato dai controlli bancari può riguardare anche i contribuenti non titolari di redditi di lavoro autonomo o d’impresa, perché l’articolo 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. 600/73 afferma che dati ed elementi sono posti a base degli accertamenti previsti, tra l’altro, dall’articolo 38 del D.P.R., che disciplina gli accertamenti concernenti le persone fisiche non obbligate a tenere le scritture contabili.
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